Com’è dolce Milano

Dal tiramisù affumicato alle torte cioccolato e gorgonzola.

Mentre una parte del mondo demonizza carne e zucchero bianco, forse con troppa fretta considerati veleni, l’altra continua a consumare costolette e bignè. E Milano incarna bene le due facce. Verso le feste impazza il sapore dolce, si preparano nuove aperture. A chi non piacerebbe gustarsi, con forchette e coltello, un menu a base di dessert anziché consumare mezza fetta di Saint Honoré al bancone? Si potrà fare dalla settimana prossima a Brera. Al Tiramisù Delishoes, primo «Fashion Dessert Restaurant» d’Italia. Ci si tirerà su di morale con una pralina o vendendoci un paio di scarpe o accessori di moda. La novità, ideata da Antonio Carstulovich, si ispira a Espai Sucre di Barcellona, celebre «spazio zucchero» degli chef pasticceri Jordi Butròn e Xano Saguer, primo ristorante al mondo dedicato al più amato dei cinque sapori. Da gustare al piatto: panna cotta speziata al limone con rucola e yogurt, plumcake di carota con mousse di cocco e sorbetto all’arancia. Il bello sarà verificare come se la caveranno con i fondamentali della cucina italiana virati in dolce; mostri sacri come la cotoletta, il vitello tonnato, lo spaghetto al pomodoro, accompagnati da un crumble speziato, un gelato alla cipolla, un chutney di pomodoro e pesto. Un luogo per chi ama sperimentare. Ernst Knam, il più milanese dei pasticceri tedeschi, è anche cuoco, cioccolatiere e volto Sky. Ha appena rinnovato la sua famosa pasticceria in via Anfossi e lanciato la nuova linea di torte Extreme. La parte design è dell’architetto Lorenzo Palmieri, che ha giocato con legno di noce e suggestioni di viaggio, pittoriche e teatrali. Niente barocchismi. Le torte di Knam sono pulite, essenziali, pura geometricità in un continuo rimbalzare tra forma e contenuto. Estrema e lunghissima sul palato e nel cuore l’emozione che provocano. Il consiglio è lasciarsi condurre dal colore. Verde? Cioccolato Uganda, gorgonzola, assenzio. Rosa? Cioccolato, pompelmo rosa e pepe nepalese di timut. Viola? Cioccolato bianco, mirtilli selvatici e limoni neri dell’Oman. «Assaggiare è viaggiare senza muoversi. Assaporare ingredienti e prodotti, porta all’altro capo del mondo. Questo offro nella mia pasticceria». C’è chi, invece di ampliarsi, raddoppia. Non c’è milanese goloso che non conosca la storica pasticceria Martesana di Vincenzo Santoro, nata nel 1966. «Volevamo una vera boutique: grandi vetrine a pianterreno, sala da tè e spazio per eventi. Dal 29 novembre sarò io ad accogliervi nella Martesana Boutique, in via Paolo Sarpi», dice la figlia di Santoro, Manuela. Alla regia, Davide Comaschi, campione mondiale di cioccolateria nel 2013 con il Galaxy, spettacolare pralina triangolare che proporrà farcita in varianti infinite. Non si dorme la notte in laboratorio per la nuova apertura, più della prima Martesana (che resta) dedicata al cioccolato. E Comaschi non dorme neppure per l’altra sfida: la preparazione del prestigioso Salon du Chocolat che si terrà in febbraio per la prima volta a Milano. Città che si conferma sempre più dolce.

Le ricette di La Mantia per i bambini del Nepal

Filippo La Mantia, tra i protagonisti più corteggiati della scena gastronomica milanese, è anche paladino delle cene di beneficenza (che Milano, città anglofila, chiama charity dinner). Da un anno scarso, lo chef palermitano che ha il vezzo di definirsi «oste e cuoco» ha preso in mano le redini dell’ex Gold di Dolce e Gabbana, in piazza Risorgimento, diventato grazie a lui uno dei ristoranti di maggior successo della città. È La Mantia che imbandisce la cena benefica di domani sera allo StarHotels Rosa Grand di piazza Fontana, organizzata da Food&Life per Weworld Onlus, in favore dei bambini terremotati del Nepal e per una scuola materna in uno dei quartieri più disagiati di Palermo. Alla serata, asta e lotteria benefiche condotte dalla giornalista e volto noto della tv Francesca Senette, da dieci anni ambasciatrice di Weworld. Che cosa arriverà in tavola? Piatti siciliani (senza aglio e cipolla) di cui La Mantia è ambasciatore in Italia e nel mondo. Ai tavoli, regine delle food blogger come Chiara Maci e Csaba Dalla Zorza (ore 20.30, e 90, tel. 02.76.31.7984).

Ristorazione in Galleria. Non bastano le stelle

Proprio perché la Galleria, come ha scritto Roberta Schira sul Corriere, «resta ambita dai brand internazionali», e per la natura stessa del luogo (con i rinnovi delle concessioni), occorrerebbe tenere in considerazione tutti gli aspetti in una valutazione sul livello della cucina nei locali. In Galleria ci sono professionalità cresciute con l’esperienza di anni, aziende che garantiscono un servizio efficiente. Non penso che la Galleria debba essere solo una vetrina di lusso e stelle. La sua varietà, compresa la ristorazione di qualità fatta da aziende familiari, va preservata.

Là dove profumano i tartufi. Ristoranti, ma anche botteghe specializzate. E attenzione a quelli che arrivano dall’Est

«No, non glielo dico il mio cognome, mi conoscono come Rino il trifolaro di Lombardia. E basta così. Lo so che il tartufo d’Alba è il più conosciuto, ma le assicuro che ci sono terre con tartufi bianchi così profumati che deve girare la testa dall’altra parte». Vive a Tortona con due lagotti romagnoli dal pelo ispido e riccio, ma in autunno si sposta tra Lomellina, Oltrepò e Gavi. Ogni anno, consultando il suo quadernino segreto, va a caccia del dono della terra più prezioso al mondo. «I migliori crescono sotto i noccioli, per questo nelle Langhe ce ne sono tanti. Ma è buono anche il tartufo sotto la quercia ed è molto pregiato quello che nasce sotto i tigli, macchiato di rosso. Questo bitorzoluto? Viene da un terreno calcareo, il rotondetto da un terreno sabbioso, questo, ci scommetto una buona cena, tutti lo scambiano per un tartufo bianco d’Alba, invece viene da Savigno, sui colli bolognesi, dove è in corso la festa del tartufo: ci vada e si renderà conto». A saziare la voglia di tartufo dei milanesi concorrono tante regioni, oltre al Piemonte: Lombardia, Emilia, Toscana, Marche e (ma senza dirlo) Paesi dell’est. Chi si vuole togliere la voglia di tartufo, ha più scelte. Sedersi nel ristorante preferito e ordinare un piatto che ne preveda una grattatina, eseguita al tavolo. Comprarlo da Tartufi Urbani (via Anfossi 13) o nei ristoranti-botteghe nati negli ultimi due anni proprio per celebrarlo. Il più noto, con quattro vetrine in corso Venezia 18, è Tartufi&Friends di Alberto Sermoneta. Assoluta novità è Procacci, nome che i fiorentini conoscono bene: da poco apre in corso Garibaldi 79 con i profumatissimi paninetti farciti di crema tartufata. Lo storico brand è della blasonata famiglia dei vini, Antinori. Oltre ai panini, piatti con tartufo, dai tagliolini alle carni. Il terzo paradiso esclusivamente impostato sul fungo ipogeo è Tartufotto (via Cusani 8), della famiglia toscana Savini: più che per la cucina, corretta, funziona per creme e preparati al tartufo. Un trucco per riconoscere il tartufo di qualità? Se in un ristorante arriva un piatto con tartufo al tavolo vicino e tu non senti il profumo (che è tutto), sappi che ti daranno una fregatura.

Golosaria apparecchia per tutti Trecento produttori, 100 cantine, 80 appuntamenti: caccia al cibo di qualità

«Se uno vuol cogliere il fermento dell’Italia del gusto, che c’è, deve passare da qui: per bersi non solo un bicchiere di birra o di vino, ma un concentrato di fiducia nel nostro Paese». Qui è Golosaria, il dispensatore di fiducia è Paolo Massobrio, ideatore con Marco Gatti della rassegna sulle gastro-eccellenze italiane che compie dieci anni. Per festeggiare, la kermesse si allarga al MiCo (FieraMilano City, da sabato 17 al 19 ottobre, viale Scarampo ang. Colleoni, gate 4; ingresso 10 euro al giorno, 21 per i tre giorni, info www.golosaria.it). Golasaria si capisce bene con le cifre: oltre 300 produttori in 12 mila mq, 15 cucine di strada, 100 cantine, cuochi che preparano specialità davanti al pubblico, 80 appuntamenti a tema, 150 espositori, 30 sponsor, molte start up da scoprire. L’anno scorso i visitatori sono stati 17 mila, per questa edizione — intitolata «La qualità che nutre il futuro» e inserita nel ricco palinsesto di ExpoinCittà — se ne aspettano ventimila. Centinaia di produttori potranno incontrarsi, conoscersi e creare humus per germogli umani, culturali ed economici. Massobrio e Gatti, con la loro affiatata squadra, scovano e premiano novità degne di nota, ogni anno diverse. Per esempio, tra i 100 migliori vini premiati ai vertici due lombardi: il Minego, rosso di uve barbera prodotto in Val Camonica dal bresciano Antonio Ligabue, e il Castello di Stefanago, riesling di Antonio e Giacomo Baruffaldi, da Borgo Priolo nel Pavese.«La nostra selezione», dicono gli ideatori di Golosaria, aggiustandosi il papillon diventato marchio di fabbrica, «è il polso reale delle tendenze produttive: molti vini sono biologici e biodinamici, una realtà ormai matura anche in Italia». I visitatori saranno attratti da molte curiosità: i risi vercellesi coltivati dalle tre sorelle Rosso e proposti con una miscela di fiori commestibili; l’azienda piemontese «Optima carne» con allevamento sostenibile; la start up di Roberto Zulato, che riprende la tradizione biellese di distillati ed elisir a base di erbe di campo, sambuca e frutti selvatici; le oche romagnole allevate a latte e miele da Michele e Luca Littamè, nel Padovano. E ancora, il barbecue alIdeatori Marco Gatti e Paolo Massobrio, creatori di Golosaria; sotto risaie l’italiana per diventare «grill master», la birra di sorgo, il paté di fegato di lumache (sì, avete capito bene), il pastrami con carne di razza bovina piemontese, la confettura calabrese di annona (frutto che è un mix tra banana e avocado), la cucina in vasocottura, il pane carasau nero. Insomma, una vera passeggiata, con un’infinità di tentazioni, nel Buono Italiano. E per la prima volta, Golosaria lancia il Premio Fraizzoli (storica azienda milanese di uniformi professionali), che mette gli allori non alla cucina, ma allo stile di accoglienza nei ristoranti: tra i 15 laureati, Aimo e Nadia di Milano. La classe non tradisce mai.

BEN TORNATI AL GRAND HOTEL

Per riconoscere il talento negli altri ci vuole talento. E ne hanno avuto i fratelli Roberto, Francesco, Enrico Cerea, rara concomitanza tra imprenditori e maghi dei fornelli (tre stelle Michelin) scegliendo i giovanissimi chef fratelli Lebano (Vincenzo e Antonio) per il nuovo Gallia di Milano. I due ragazzi, napoletani, sono uno dei punti di forza dell’hotel di piazza Duca d’Aosta. La loro cucina incarna alla perfezione la «filosofia Cerea»: italianità, gusto e ingredienti di prim’ordine. L’Excelsior Gallia — del Gruppo Starwood, oltre venti alberghi in Italia, proprietà dell’emiro del Quatar — parla alla memoria dei milanesi: qui si teneva anche il calcio-mercato, e non c’era celebrità che non lo conoscesse. Poi, come capita, la sua stella si oscurò: ma ora, totalmente rifatto e ingrandito da architetti italiani (studio Marco Piva), curatissimo negli arredi (500 opere d’arte) è uno dei due o tre grandi alberghi che fanno di Milano una vera metropoli. Dalla terrazza, con i cocktail orchestrati dal barman Matteo Pasolini, si gode uno dei panorami più aperti: sembra di trovarsi in un’illustrazione di Saul Steinberg, con i tram gialli che tagliano la piazza della Centrale. Nel ristorante al piano della Terrazza, con alle pareti fotografie in bianco e nero di Giovanni Gastel, si gustano piatti come risotto con scampi di Sicilia e capperi di Lipari, scampi e insalata di ovoli crudi, merluzzo d’Alaska su crema di pomodoro giallo. Pane e grissini, autoprodotti, arrivano caldi e croccanti. Al dessert, tiramisù scomposto e cannoli farciti di crema al momento, come va fatto. I fratelli Lebano lavorano con umiltà, sicuri che solo così si arriva sempre più in alto. «Oggi — dice Francesco Cerea — è facile che gli chef si montino la testa. Ma io dico sempre: non siete chirurghi, fate un bel lavoro, ma non credetevi semidei. Noi Cerea, consulenti per il Gallia, ci siamo sempre comportati con umiltà». L’umiltà dei forti, visto i successi a Brusaporto, nel tristellato Vittorio, e in tutto il mondo. Il ristorante del Gallia vanta una saletta privata, con un unico tavolo da otto o dieci posti, chiamata Maserati per omaggiare un brand italiano. Il rapporto tra la parte Belle Époque del Gallia e l’addizione architettonica verso il grattacielo Pirelli, è armonico. Le camere sono 235, di cui 53 suite, tra le quali (quasi finita) la Quatar Suite di mille metri quadrati, con Spa privata. Inaugurato da poco, il Gallia mostra già un trend in crescita. Per posizione e attrattiva, è sempre più utilizzato dai milanesi che (come succede a Londra e New York) attraversano la hall sotto il lampadario in vetro di Murano alto 30 metri per un aperitivo, un tè, un bicchiere di Franciacorta, una cena dai Lebano. Il grande hotel come contenitore di grandi esperienze, a partire da quelle gastronomiche.

UNO CHEF E LE LASAGNE DEL DESTINO

«No, non l’avrebbe mai detto mamma Michelina di Tricase, provincia di Lecce, quarant’anni fa, che le sue propedeutiche lasagne avrebbero inciso così sul mio destino, su quel figlio spilungone che dopo l’alberghiera voleva fare il pasticcere. Ma il fato aveva altri progetti su di me», così Antonio Guida, il nuovo reggente della cucina del Mandarin Orienta ricorda l’imprinting materno. Il suo pizzico di genio non sfugge a chi sa riconoscere il talento, come a un monumento della cucina francese di nome Pierre Gagnaire, che lo assegna ai secondi piatti. Antonio Guida credeva di aver raggiunto l’apoteosi con le due stelle Michelin all’Hotel Pellicano di Porto Ercole, ma per lo chef pugliese doveva arrivare la cattedra più ambita: «Quando mi hanno proposto la responsabilità del ristorante Seta e di tutto il comparto food al Mandarin Milano non ci volevo credere: una delle compagnie alberghiere più blasonate del mondo tra i cinque stelle extra lusso chiamava proprio me. Ci ho pensato molto, poi ho deciso e a malincuore ho lasciato l’Argentario. Mi mancava la possibilità di verificare la mia cucina su tutte le stagioni e declinarla su diversi ingredienti. Milano, con la direzione delle cucine di un grande albergo, mi lascia carta bianca su tutto il fronte. Di questa città amo l’adrenalina che sa infonderti. Non sopporto chi vuole stupire a tutti i costi. Farò la mia cucina classica contemporanea». A poco più di un mese dall’apertura (ma agosto non conta), i gourmet milanesi sono già innamorati del suo stile e di questo ristorante gioiello firmato dallo studio Antonio Citterio Patricia Viel Interiors, molto milanese, ma con un tocco di esotico. Dal Pellicano, Guida si porta il team di fedelissimi, il sous chef Federico Dell’Omarino; il pastry chef Nicola di Lena e una vecchia conoscenza, il mago del beverage Alberto Tasinato, che ha lavorato con Andrea Berton in ristoranti blasonati. Coraggiosi ed eleganti i suoi piatti a base di frattaglie, geniale la nobilitazione del cavolfiore, così working class nel mondo degli ortaggi. Il Seta richiama il velluto della mantecatura di un suo signature dish: risotto al nero con calamaretti spillo. Milano con Guida si fregia di un altro caposaldo culinario. Seta ci spinge a una domanda: che in futuro l’alta cucina si possa realizzare esclusivamente sotto l’ala di grandi catene alberghiere?

FINO ALL’ULTIMO PASTICCINO. A PALAZZO DELLE STELLINE «SWEETY» SCHIERA I 25 PIU’ IMPORTANTI ARTIGIANI ITALIANI

«Il mio sogno per Milano era di farla diventare per due giorni la più grande pasticceria del mondo». Il sogno si è avverato e sabato e domenica il Palazzo delle Stelline farà da scenografia alla prima edizione di «Sweety». È soddisfatta Carla Icardi – architetto di formazione e direttrice di «Grande Cucina» – alla vigilia della rassegna che metterà insieme i 25 più importanti pasticceri italiani. Mentre la tv ci ha abituato alle gare, alle torte scenografiche spesso immangiabili, al cake design più ordinario, in Italia un gruppo di pasticceri artigianali si sta rafforzando, e unendosi ha dato vita a una nuova generazione di professionisti.«Le lezioni di pasticceria – continua Icardi – sono spesso dedicate agli addetti di settore o ad agguerritissime sweet blogger. Noi ci rivolgiamo al pubblico più ampio, alle famiglie e ai tanti appassionati, curiosi di vedere dal vivo come sono preparati i loro dessert preferiti». Ed ecco il milanese Davide Comaschi della pasticceria Martesana, ultimo campione mondiale dei cioccolatieri, preparare in diretta la pralina che lo ha reso famoso; l’autorevole maestro bresciano Iginio Massari, invece, mostrerà vari modi per preparare una Saint-Honoré tradizionale e le sue varianti. C’è anche Denis Buosi, creatore di delizie design e mago del microonde; inoltre «il cuoco nero» Maurizio Santin, Attilio Servi da Roma, Luca Montersino, Salvatore de Riso dalla Costiera Amalfitana alle prese con la sua celebre «delizia al limone» e tanti altri. I dessert più famosi si potranno assaggiare alla fine della lezione e le specialità proposte negli stand sono in vendita. Sweety of Milano è anche on air, con la radio ufficiale RTL 102.5, che tutti i giorni trasmetterà alle 11.50 mini interviste con i protagonisti. Chi non è interessato a frequentare lezioni, ma è semplicemente goloso, a Sweety può acquistare i dessert dei propri beniamini visti in tv con uno sconto del 30%. Per la Lombardia, oltre a Davide Comaschi e Denis Buosi, si esibisce Alessandro Servida con i suoi rigogliosi «eclairs». Appuntamento sabato (dalle 10 alle 18) e domenica (dalle 10 alle 17) in corso Magenta 61. L’ingresso costa 6 euro, biglietti su www.sweetyofmilano.com; masterclass fino a esaurimento posti.

CARNE ORIENTALE CON ACETO DI MODENA: LA SFIDA DEL RATANA’. LA MIA RECENSIONE SUL CORRIERE

A Tavola

A Milano impazza la cucina orientale, ma per comprenderla a fondo è d’obbligo accompagnare le degustazioni con un assaggio culturale, come oggi al Ratanà (via De Castillia 28, tel. 02.87128855) . Cesare Battisti, cuoco di casa, noto per la magnifica costoletta alla milanese, si esibisce lavorando la pregiata carne wagyu proveniente dal bovino nero allevato nella prefettura giapponese di Miyazaki, che si vuole affiancare alla già nota prefettura di Kobe. La sfida sarà sposare il taglio prezioso all’aceto balsamico tradizionale di Modena, invecchiato vent’anni. Ricco menu a 60 euro, vini compresi.

CUCINA DELLE LANGHE. LA MIA RECENSIONE SUL CORRIERE

 
A Tavola

Lo sforzo per conservare e migliorare la tradizione piemontese e lombarda di una nota insegna di corso Como ( Alla Cucina delle Langhe , tel. 02.65.54.279) si vede ed è da incoraggiare. Qui si gustano sempre, ma meno «ingombranti», buone tartare di Fassona, costolette alla milanese, risotto giallo e in stagione,tagliolini e tartufo o bagna cauda. Il locale è rinnovato nel personale e nell’arredo: più freschi entrambi.Troppo turistico? Forse,ma la zona lo richiede. Il vero bonus è che rimane uno dei pochi locali dove si può ordinare un risotto al Barolo all’ora del te. Cantina illustre. Da 50 euro.