Il magnifico palagio

Due palazzi rinascimentali, il parco privato più grande della città, 116 tra camere e suite punteggiate di opere d’arte, un ristorante (Il Palagio, una stella Michelin, per ora) dove regna lo chef Vito Mollica (responsabile della cucina anche in via del Gesù, a Milano), il sommelier Walter Meccia che trasmette l’amore per i vini (da un Romanée-Conti 1995 da 18mila euro ai più abbordabili Aglianico o Nebbiolo). Su tutto, la regia cordiale e intelligente del toscano Patrizio Cipollini, direttore d’albergo di quelli che si vedono solo nei film, e invece, per fortuna del viaggiatore, esistono davvero. Stiamo parlando del Four Seasons di Firenze, che con l’hotel di Milano (il primo del brand aperto in Europa) porta in alto il nome della casa. A Firenze, “città piccola e tranquilla, però cosmopolita” (opinione dello chef, qui dal 2008, dopo Milano e Praga) e a poca distanza dagli Uffizi, l’hotel di Cipollini è un trattato della buona accoglienza, non soltanto per ospiti con camera o suite. Gli alberghi a cinque stelle sono luoghi di vita intensa, incontri, cene e aperitivi d’alto livello, spa sempre all’avanguardia. Sono macchine emozionali aperte a tutti che funzionano 24 ore su 24. In Italia, questa filosofia comincia a farsi strada. Godersi il ritmo al Four Seasons di Firenze, sotto gli eleganti addobbi natalizi, fa ben sperare sul futuro sempre più brillante di questi regni del lusso. Impossibile entrare anche solo per un caffè o un gin tonic senza respirare l’aria storica delle mura, che hanno visto Lorenzo il Magnifico, papi e nobili fiorentini, persino un pascià egiziano che vendette la dimora quando gli venne proibito di portare l’harem. Il Palazzo della Gherardesca (XV secolo) e il Conventino (XVI secolo) ospitano genius loci che invitano a riflettere sul mutare dei tempi: dove venivano celebrati riti e intrighi aristocratici, oggi è un via vai di turisti internazionali, uomini d’affari, curiosi delle bellezze d’Italia, innamorati di un grand tour affascinante sin dai tempi di Goethe. Il Four Seasons ha aperto nel 2008 e da allora è stato un continuo mettere a punto l’arte dell’accoglienza che – dateci pure di entusiasti eccessivi – è da considerare perfetta. Abbiamo accennato alle opere d’arte, che fanno dell’hotel un museo aperto, tra affreschi e dipinti vaganti dal Rinascimento al Rococò e all’Ottocento. Abbiamo detto del parco: quattro ettari e mezzo di prati, boschetti, piante rare, alberi secolari (tra cui una sequoia). Tra i punti di forza, la cucina di Vito Mollica conferma il talento di uno chef che governa con il sorriso un ristorante di 110 posti, di cui 55 all’aperto. “Il mio ingrediente migliore è la brigata”, dice Mollica, che sa fare squadra con i suoi. Piatto iconico: i cavatelli cacio e pepe con gamberi rossi e calamaretti spillo. Ma dalla carta, che cambia ogni stagione, occhieggiano il porro arrostito con crema di zucca, tartufo bianco di San Miniato e fonduta di fontina, o l’insalata di astice con trasparenza di sedano verde, per citare piatti dalle proposte attuali. Mollica ama conoscere l’uomo dietro il prodotto: la scelta di un ingrediente, che sia il tartufo bianco o l’agnello, la capasanta o l’olio di Toscana, passa prima dalla storia umana e professionale. E che dire del pasticcere Domenico Di Clemente? È uno dei pochi che osa portare in tavola un soufflé, banco di prova di ogni pastry chef. Vera perla è la cantina, con oltre mille etichette. Meccia l’ha voluta arricchire con molte bottiglie di rari vitigni autoctoni, da proporre assieme ai classici, anche a bicchiere. “Gli italiani”, dichiara il sommelier, “sono curiosi dei vini di regioni lontane da dove vivono. Oppure ordinano un vino della loro zona, purché sconosciuto. Gli stranieri? Non v’è dubbio, scelgono prima di tutto i toscani”.