Menu speciale per il cenone

Auguri a tavola Dal caviale con patate alla tradizione milanese fino alla serata in stile hippy

L’universo milanese dei «capodannisti» si divide in scuole di pensiero: chi scuote la testa e sostiene che è un giorno come un altro; chi sceglie un ristorante sino al brindisi; chi disdegna il cenone e come a New York cambierà almeno 5 locali in una notte. Ci sono i puristi del bon ton, che inorridiscono all’idea di trenini e cotillon, e altri che non vedono l’ora di buttarsi nel caro vecchio karaoke. Milano dà una chance a tutti. Il Bar Magenta di San Silvestro ne ha visti 108. Chi vuole può aspettare la mezzanotte qui, prenotando il cenone: 50 euro con musica e brindisi. Primo Capodanno, invece, per il Seta del Mandarin Oriental, fresco di stella Michelin. Antonio Guida propone otto portate, come caviale con patate allo scalogno o risotto al tartufo con fagiano (450 euro vini inclusi). Al Mandarin Bar piatti ispirati alla tradizione milanese (120 euro, vini esclusi). A mezzanotte, magia: lo chef brinda con gli ospiti offrendo panettone e Champagne. Primo Capodanno anche all’Excelsior Hotel Gallia con il cenone a 280 euro (vini esclusi) e balli in sala Cupola con il dj resident. Ma si può scoprire la bellezza dell’hotel da poco splendidamente rinato anche al brunch del 1° gennaio, a 70 euro, vini esclusi. Chi ama i sapori orientali, faccia tappa al Bon Wei. Lo chef Guoqing Zhang, oltre alla carta abituale ha pensato anche a piatti speciali: astice con crema al tè verde o petto d’anatra con salsa ai fagioli gialli. Per chi vuole solo un piatto, l’ideale è Dim Sum: qui lo chef Wu Jing ha studiato nuove proposte, come il raviolo con edamamer e crema di tartufo o lo Shao Mai leggermente piccante. Da Wicky Pryan, che aspetta la stella ampiamente meritata, tradizione giapponese con ingredienti italiani. Nel menu (100 euro vini esclusi) il Carpaccio dei 5 continenti, il Kaneki Kyoto (maialino lessato) e al brindisi panettone Besuschio con zabaione. L’atmosfera di uno dei locali più frizzanti di Milano, Langosteria 10, si trasferisce per San Silvestro alla Langosteria Bistrot. Risotto con scampi e caviale Beluga, aragosta, capesante, ostriche (150 euro vini esclusi). Sorpresa del patron Enrico Buonocore: con cotechino e lenticchie, un calice di Ruinart Rosè offerto dalla maison. Da Tom, invece, atmosfera flower power. All’entrata, vi verrà messa al collo una collana di fiori: si può andare vestiti da hippie. Tre menu a 80 euro: carne, pesce, vegetariano. Dopo mezzanotte, la festa continua: 40 euro, con un drink. Al Ceresio 7, esclusiva terrazza con piscina, l’idea è abbinare i piatti a una hit parade scelta dal dj, dallo chef Elio Sironi e da uno dei patron, Edoardo Grassi. Agnolotti al tartufo bianco (Mario Biondi, White Christmas); bollito freddo di crostacei (sulle note dei Coldplay); vitello, lime, vaniglia e cacao (la voce sublime di Cesaria Evora). Costo, 190 euro, vini esclusi. Chi ama i piatti siciliani, può scegliere Curò, dove la tradizione è rispettata: nel menu (120 euro vini esclusi) non mancano caponatina di baccalà e involtini melanzane. Sangria pronta e fuoco acceso all’argentino Don Juan: sotto la regia di Marlene Gomes arrivano empanadas, picanha, lomo e entranas. Nei bicchieri Malbec Fin del Mundo. Menu a 120 euro. Eataly chiude alle 18, tranne il ristorante stellato di Viviana Varese, Alice, tra i migliori per il pesce in città. Nel menu a 180 euro (senza vini): super spaghettino con brodo di pesce affumicato, vongole, julienne di calamari e limoni. Alle 24, Champagne Desire Marguerite Guyot. Ma in casa, al ristorante, con gli amici, gli italiani brindano soprattutto italiano. Lo conferma Domenico Zonin, presidente dell’Unione vini: «La produzione di spumanti è cresciuta del 10% e l’export del 13%». Tra le bollicine più amate: i metodo classico Ferrari, Bellavista, Berlucchi, Cà del Bosco e Bisol per il Prosecco.

Bottiglieria Spartaco Tra etichette ricercate e fusione di culture. la mia recensione sul corriere

A Tavola

Cosa fa una brava sommelier giapponese e trilingue dopo aver lavorato con Ducasse e Robuchon? Apre una mini Bottiglieria in via Spartaco 11 (tel. 02 84568911). Norie Harada conta su pochissimi tavoli, ma un ottimo palato ed etichette per intenditori. Alle pareti, champagne di nicchia, venti tipi di sakè e rari whisky dal Giappone. Buon gusto anche nel predisporre semplici piatti frutto di una fusione di culture: millefoglie di tofu, prosciutto di Cormons, pane burro e acciughe, formaggi italiani e francesi. Insomma, 22 metri quadri di garbo e gourmanderie.

Un nuovo locale tra Napoli e l’Argentina. la mia recensione sul corriere

A Tavola

«Il cuoppo», la mozzarella in carrozza, il pomodorino del piennolo, la pizza verace, la pastiera: un altro ben riuscito scorcio di Napoli alla milanese, con una deviazione in Argentina per le carni alla brace. Si chiama Bacicha (via Orti 31, tel. 02.49.53.86.40) ed è il risultato del maestro pizzaiolo Gianfranco Iervolino, insieme con l’investimento di Stefano De Martino, il ballerino compagno di Belèn. Nonostante i presupposti, qui ci sono per fortuna pochi vip, ma molta sostanza nel piatto. Tanto basta a dare un giudizio positivo di questo locale. Cantina all’altezza. Conto sui 40 euro, chiuso il lunedì.

Il mercato è sempre più cool Ortaggi, pane, pesce e vino di qualità negli spazi comunali di corso XXII Marzo

Un nuovo progetto da ieri trasforma, in meglio, un frequentatissimo angolo di Milano: piazza Santa Maria del Suffragio, su corso XXII Marzo. Qui ha aperto non un ristorante con chef di fama, non una boutique del cibo, ma il primo mercato comunale con cucina. La sua storia? Il Comune, due anni fa, lanciò un bando per far ripartire il mercato decaduto. Decadenza che il quartiere non meritava: qui di fronte Marchesi aprì il primo ristorante; accanto i fratelli Solci facevano cultura del vino dagli anni ’50; fino al 1965 qui sorgeva una cittadella commerciale. Il progetto vincente è di Davide Longoni, panettiere purista e imprenditore. Porta l’idea di un mercato contemporaneo: pane, pizza, frutta, ortaggi, gelato, vino e pesce. Niente carne. Quattro banchi con tavolini centrali, ed esterni e in veranda, aperti dall’ora di colazione sino alle 23. Longoni ha operato una selezione con il metodo delle affinità elettive e gustative. Per esempio, scegliendo una bocconiana con master in economia. È Erika Fumagalli, dal 2009 nell’azienda di famiglia, la Fumagalli Danilo srl, storica bottega di ortofrutta in Brianza. Che valorizza le produzioni locali, dal Parco del Curone. «La mia è ortogastronomia», dice Erika. Al banco, zucca all’aglio nero, carote nere, germogli prodotti localmente, marmellate e confetture artigianali, legumi, bacche di goji, semi di chia, açai e l’alga spirulina. Si assaggiano ortaggi al vapore, saltati, macedonie, zuppe, centrifughe, estratti e frullati. Ogni giorno tre piatti caldi a rotazione, sempre a base vegetale. Dal banco di Roberto Ghezzi, fondatore del marchio Schooner (garanzia per il pesce d’altura e la lavorazione di prodotti del mare), tutto si può acquistare pulito, fresco o cucinato. Cibi da intenditori: come il fegato di pescatrice rosato, in olio di ottima qualità. «Sa perché ha questo colore? Perché si nutrono solo di crostacei», dice Ghezzi. L’incontro di Davide Longoni con il suo mentore Eugenio Pol lo porta alla beatificazione del pane artigianale: il segreto sono i grani antichi, il lievito madre, sale integrale, farine macinate a pietra, grandi formati. Ma la vera novità sarà la pizza: tonda e alla pala, nell’interpretazione di Fabio Venturini, giovane pizzaiolo di Spoleto. Per l’angolo caffetteria, Longoni sceglie due miscele: un’arabica e un decaffeinato di Lady Café, torrefazione di Massimo Bonini, che tosta il caffè con il metodo a torcia. Oreste Pietroni e William Legati, con il cuoco Roberto Andreoni, sono i fondatori di Cool Gelateria Naturale: qui fanno rivivere, oltre al gelato, il concetto di antica latteria, con formaggi e salumi a peso. L’accordo con il Comune (al taglio del nastro c’era l’assessore Franco D’Alfonso) prevede iniziative con artisti del quartiere, il Fai, lo Ied, la parrocchia, il consiglio di zona.

Il tocco napoletano di Lillo Frigoli all’Arengario. la mia recensione sul corriere

A Tavola

A chi gli chiedeva il segreto per un locale di successo, il potente imprenditore e barone Harold Samuel rispondeva: «location, location, location». È il caso dell’Arengario in piazza Duomo (tel. 02.72.09.38.14) di Giacomo Bulleri. Le guglie a portata di tavolo facevan passare la cucina in secondo piano, tranne la pasticceria, fregio di famiglia. Poi arriva il cuoco Pasquale «Lillo» Frigoli (ex Mudec), napoletano di 28 anni, e da sei mesi anche il bravo direttore Luca Pedinotti, che in sala dà il giusto ritmo. Le linguine mantecate, i ravioli di scarola e gli scialatielli fanno ben sperare. Prezzi a partire da 70 euro.

Cous cous, sambusa e zighinì in via Canonica. La mia recensione sul corriere

A Tavola

Gli etnici hanno sempre quell’aria un po’ artefatta, come i fiori finti. Savana (via Canonica 45, tel. 366.40.73.136), il nuovo eritreo ai bordi di Chinatown, no. Non per l’arredo o la nazionalità del cuoco africano, ma per una questione di sapori. Pochi piatti e corretti. Il sambusa, fagottino ripieno di carne o verdura, è croccante e profumato di spezie. Lo zighini è un succulento piatto unico a base di carne di manzo, erbette, patate, cous cous, lenticchie rosse, uova sode. Si mangia con le mani aiutandosi con ingera, il pane sottile e morbido preparato ogni giorno. Si termina con tè alla cannella. 25 euro in media.

Com’è dolce Milano

Dal tiramisù affumicato alle torte cioccolato e gorgonzola.

Mentre una parte del mondo demonizza carne e zucchero bianco, forse con troppa fretta considerati veleni, l’altra continua a consumare costolette e bignè. E Milano incarna bene le due facce. Verso le feste impazza il sapore dolce, si preparano nuove aperture. A chi non piacerebbe gustarsi, con forchette e coltello, un menu a base di dessert anziché consumare mezza fetta di Saint Honoré al bancone? Si potrà fare dalla settimana prossima a Brera. Al Tiramisù Delishoes, primo «Fashion Dessert Restaurant» d’Italia. Ci si tirerà su di morale con una pralina o vendendoci un paio di scarpe o accessori di moda. La novità, ideata da Antonio Carstulovich, si ispira a Espai Sucre di Barcellona, celebre «spazio zucchero» degli chef pasticceri Jordi Butròn e Xano Saguer, primo ristorante al mondo dedicato al più amato dei cinque sapori. Da gustare al piatto: panna cotta speziata al limone con rucola e yogurt, plumcake di carota con mousse di cocco e sorbetto all’arancia. Il bello sarà verificare come se la caveranno con i fondamentali della cucina italiana virati in dolce; mostri sacri come la cotoletta, il vitello tonnato, lo spaghetto al pomodoro, accompagnati da un crumble speziato, un gelato alla cipolla, un chutney di pomodoro e pesto. Un luogo per chi ama sperimentare. Ernst Knam, il più milanese dei pasticceri tedeschi, è anche cuoco, cioccolatiere e volto Sky. Ha appena rinnovato la sua famosa pasticceria in via Anfossi e lanciato la nuova linea di torte Extreme. La parte design è dell’architetto Lorenzo Palmieri, che ha giocato con legno di noce e suggestioni di viaggio, pittoriche e teatrali. Niente barocchismi. Le torte di Knam sono pulite, essenziali, pura geometricità in un continuo rimbalzare tra forma e contenuto. Estrema e lunghissima sul palato e nel cuore l’emozione che provocano. Il consiglio è lasciarsi condurre dal colore. Verde? Cioccolato Uganda, gorgonzola, assenzio. Rosa? Cioccolato, pompelmo rosa e pepe nepalese di timut. Viola? Cioccolato bianco, mirtilli selvatici e limoni neri dell’Oman. «Assaggiare è viaggiare senza muoversi. Assaporare ingredienti e prodotti, porta all’altro capo del mondo. Questo offro nella mia pasticceria». C’è chi, invece di ampliarsi, raddoppia. Non c’è milanese goloso che non conosca la storica pasticceria Martesana di Vincenzo Santoro, nata nel 1966. «Volevamo una vera boutique: grandi vetrine a pianterreno, sala da tè e spazio per eventi. Dal 29 novembre sarò io ad accogliervi nella Martesana Boutique, in via Paolo Sarpi», dice la figlia di Santoro, Manuela. Alla regia, Davide Comaschi, campione mondiale di cioccolateria nel 2013 con il Galaxy, spettacolare pralina triangolare che proporrà farcita in varianti infinite. Non si dorme la notte in laboratorio per la nuova apertura, più della prima Martesana (che resta) dedicata al cioccolato. E Comaschi non dorme neppure per l’altra sfida: la preparazione del prestigioso Salon du Chocolat che si terrà in febbraio per la prima volta a Milano. Città che si conferma sempre più dolce.

Le ricette di La Mantia per i bambini del Nepal

Filippo La Mantia, tra i protagonisti più corteggiati della scena gastronomica milanese, è anche paladino delle cene di beneficenza (che Milano, città anglofila, chiama charity dinner). Da un anno scarso, lo chef palermitano che ha il vezzo di definirsi «oste e cuoco» ha preso in mano le redini dell’ex Gold di Dolce e Gabbana, in piazza Risorgimento, diventato grazie a lui uno dei ristoranti di maggior successo della città. È La Mantia che imbandisce la cena benefica di domani sera allo StarHotels Rosa Grand di piazza Fontana, organizzata da Food&Life per Weworld Onlus, in favore dei bambini terremotati del Nepal e per una scuola materna in uno dei quartieri più disagiati di Palermo. Alla serata, asta e lotteria benefiche condotte dalla giornalista e volto noto della tv Francesca Senette, da dieci anni ambasciatrice di Weworld. Che cosa arriverà in tavola? Piatti siciliani (senza aglio e cipolla) di cui La Mantia è ambasciatore in Italia e nel mondo. Ai tavoli, regine delle food blogger come Chiara Maci e Csaba Dalla Zorza (ore 20.30, e 90, tel. 02.76.31.7984).

Classici milanesi e bollito misto all’Osteria Conchetta. La mia recensione sul corriere

A Tavola

L’Osteria della Conchetta (via Conchetta 8, tel. 02.8372917) non è certo una novità, ma a volte urge monitorare le vecchie insegne, specie se cambiano gestione. In cucina, accanto ai piatti milanesi qualche volo pindarico, ma noi consigliamo il mangiare meneghino: brasato, cassoeula, nervetti e ossobuco, risotto al barolo e riso al salto. Su tutto, la costoletta, che pur essendo «a orecchia d’elefante» conserva morbidezza e l’osso. Di giorno il locale è caoticamente affollato per pranzi di lavoro, la sera acquista un’aura più romantica. Il mercoledì: bollito misto al carrello. Trenta euro circa.

BEN TORNATI AL GRAND HOTEL

Per riconoscere il talento negli altri ci vuole talento. E ne hanno avuto i fratelli Roberto, Francesco, Enrico Cerea, rara concomitanza tra imprenditori e maghi dei fornelli (tre stelle Michelin) scegliendo i giovanissimi chef fratelli Lebano (Vincenzo e Antonio) per il nuovo Gallia di Milano. I due ragazzi, napoletani, sono uno dei punti di forza dell’hotel di piazza Duca d’Aosta. La loro cucina incarna alla perfezione la «filosofia Cerea»: italianità, gusto e ingredienti di prim’ordine. L’Excelsior Gallia — del Gruppo Starwood, oltre venti alberghi in Italia, proprietà dell’emiro del Quatar — parla alla memoria dei milanesi: qui si teneva anche il calcio-mercato, e non c’era celebrità che non lo conoscesse. Poi, come capita, la sua stella si oscurò: ma ora, totalmente rifatto e ingrandito da architetti italiani (studio Marco Piva), curatissimo negli arredi (500 opere d’arte) è uno dei due o tre grandi alberghi che fanno di Milano una vera metropoli. Dalla terrazza, con i cocktail orchestrati dal barman Matteo Pasolini, si gode uno dei panorami più aperti: sembra di trovarsi in un’illustrazione di Saul Steinberg, con i tram gialli che tagliano la piazza della Centrale. Nel ristorante al piano della Terrazza, con alle pareti fotografie in bianco e nero di Giovanni Gastel, si gustano piatti come risotto con scampi di Sicilia e capperi di Lipari, scampi e insalata di ovoli crudi, merluzzo d’Alaska su crema di pomodoro giallo. Pane e grissini, autoprodotti, arrivano caldi e croccanti. Al dessert, tiramisù scomposto e cannoli farciti di crema al momento, come va fatto. I fratelli Lebano lavorano con umiltà, sicuri che solo così si arriva sempre più in alto. «Oggi — dice Francesco Cerea — è facile che gli chef si montino la testa. Ma io dico sempre: non siete chirurghi, fate un bel lavoro, ma non credetevi semidei. Noi Cerea, consulenti per il Gallia, ci siamo sempre comportati con umiltà». L’umiltà dei forti, visto i successi a Brusaporto, nel tristellato Vittorio, e in tutto il mondo. Il ristorante del Gallia vanta una saletta privata, con un unico tavolo da otto o dieci posti, chiamata Maserati per omaggiare un brand italiano. Il rapporto tra la parte Belle Époque del Gallia e l’addizione architettonica verso il grattacielo Pirelli, è armonico. Le camere sono 235, di cui 53 suite, tra le quali (quasi finita) la Quatar Suite di mille metri quadrati, con Spa privata. Inaugurato da poco, il Gallia mostra già un trend in crescita. Per posizione e attrattiva, è sempre più utilizzato dai milanesi che (come succede a Londra e New York) attraversano la hall sotto il lampadario in vetro di Murano alto 30 metri per un aperitivo, un tè, un bicchiere di Franciacorta, una cena dai Lebano. Il grande hotel come contenitore di grandi esperienze, a partire da quelle gastronomiche.