Carne della Galizia e altri tagli pregiati alla Griglia di Varrone. La mia recensione sul corriere

A Tavola

Entrana, fassona, wagju, pluma di pata negra: a La Griglia di Varrone (via Tocqueville 7, tel. 02.36798388) ogni taglio di carne pregiata ha ospitalità nella carta creata dal patron Massimo Minutelli, il re dei gourmet carnivori a Milano (possiede un locale anche a Lucca). Da poco un’altra razza incomparabile è inserita nel menu: la carne della Galizia. Dice Minutelli: «Gusto unico, frollatura 60 giorni, tenerezza, carne rosso tenue e grasso color paglierino, perché i capi sono alimentati con mais». Se carne dev’essere, che sia la migliore, come qui. Costo 50 euro, vini inclusi.

Toscana signorilità

Tra i commensali più interessanti conosciuti in queste settimane c’è un gentiluomo di buone maniere, di ottima conversazione, dotato di un guizzo seducente negli occhi verdi da ragazzo, verde Maremma. È lì che produce uno dei più blasonati e grandi rossi del Pianeta come il Lupicaia: il cavalier Gian Annibale Rossi di Medelana, titolare del Castello del Terriccio; cenare con lui è stato un privilegio. La sua conversazione è brillante e scandaglia in profondità temi storici, letteratura, enologia (of course), arte, storie vissute (come i tre mesi passati in gioventù lavorando in una miniera australiana) e storie equine. Assaggiare assieme a lui, nella sala della Veranda al Four Seasons di Milano un sorso di Lupicaia 2009 alternato a un boccone di capriolo dello chef Marco Veneruso (alteego di Vito Mollica) è beatitudine. Quanto è raro che un produttore non vi sfianchi parlandovi tutta la cena delle proprie etichette. Questo è savoir vivre. Una questione di signorilità. Allora della sua azienda  parliamo noi: 1.700 ettari nella Maremma settentrionale (in provincia di Pisa) baciati dalla brezza marina, coltivazioni di cereali, le vacche limousine, i cavalli con dieci fattrici pluripremiate di sella italiano, 12mila piante di ulivi delle più varie cultivar. E per ultimi, ma solo per snobismo, i vigneti. Tassinaia, Con Vento, Rondinaia, Capannino e Castello del Terriccio. A mano a mano che le vendemmie si succedono i proprietari delle vigne assomigliano al loro vino. Il cavaliere è il Lupicaia: 2009 cabernet sauvignon 85%, merlot 10%, petit verdot 5%. Grande incontro. E di soddisfazione, soprattutto dopo aver riconosciuto un tocco mentolato che il cavaliere conferma provenire da alberi di eucalipto adiacenti alla vigna.

Menu speciale per il cenone

Auguri a tavola Dal caviale con patate alla tradizione milanese fino alla serata in stile hippy

L’universo milanese dei «capodannisti» si divide in scuole di pensiero: chi scuote la testa e sostiene che è un giorno come un altro; chi sceglie un ristorante sino al brindisi; chi disdegna il cenone e come a New York cambierà almeno 5 locali in una notte. Ci sono i puristi del bon ton, che inorridiscono all’idea di trenini e cotillon, e altri che non vedono l’ora di buttarsi nel caro vecchio karaoke. Milano dà una chance a tutti. Il Bar Magenta di San Silvestro ne ha visti 108. Chi vuole può aspettare la mezzanotte qui, prenotando il cenone: 50 euro con musica e brindisi. Primo Capodanno, invece, per il Seta del Mandarin Oriental, fresco di stella Michelin. Antonio Guida propone otto portate, come caviale con patate allo scalogno o risotto al tartufo con fagiano (450 euro vini inclusi). Al Mandarin Bar piatti ispirati alla tradizione milanese (120 euro, vini esclusi). A mezzanotte, magia: lo chef brinda con gli ospiti offrendo panettone e Champagne. Primo Capodanno anche all’Excelsior Hotel Gallia con il cenone a 280 euro (vini esclusi) e balli in sala Cupola con il dj resident. Ma si può scoprire la bellezza dell’hotel da poco splendidamente rinato anche al brunch del 1° gennaio, a 70 euro, vini esclusi. Chi ama i sapori orientali, faccia tappa al Bon Wei. Lo chef Guoqing Zhang, oltre alla carta abituale ha pensato anche a piatti speciali: astice con crema al tè verde o petto d’anatra con salsa ai fagioli gialli. Per chi vuole solo un piatto, l’ideale è Dim Sum: qui lo chef Wu Jing ha studiato nuove proposte, come il raviolo con edamamer e crema di tartufo o lo Shao Mai leggermente piccante. Da Wicky Pryan, che aspetta la stella ampiamente meritata, tradizione giapponese con ingredienti italiani. Nel menu (100 euro vini esclusi) il Carpaccio dei 5 continenti, il Kaneki Kyoto (maialino lessato) e al brindisi panettone Besuschio con zabaione. L’atmosfera di uno dei locali più frizzanti di Milano, Langosteria 10, si trasferisce per San Silvestro alla Langosteria Bistrot. Risotto con scampi e caviale Beluga, aragosta, capesante, ostriche (150 euro vini esclusi). Sorpresa del patron Enrico Buonocore: con cotechino e lenticchie, un calice di Ruinart Rosè offerto dalla maison. Da Tom, invece, atmosfera flower power. All’entrata, vi verrà messa al collo una collana di fiori: si può andare vestiti da hippie. Tre menu a 80 euro: carne, pesce, vegetariano. Dopo mezzanotte, la festa continua: 40 euro, con un drink. Al Ceresio 7, esclusiva terrazza con piscina, l’idea è abbinare i piatti a una hit parade scelta dal dj, dallo chef Elio Sironi e da uno dei patron, Edoardo Grassi. Agnolotti al tartufo bianco (Mario Biondi, White Christmas); bollito freddo di crostacei (sulle note dei Coldplay); vitello, lime, vaniglia e cacao (la voce sublime di Cesaria Evora). Costo, 190 euro, vini esclusi. Chi ama i piatti siciliani, può scegliere Curò, dove la tradizione è rispettata: nel menu (120 euro vini esclusi) non mancano caponatina di baccalà e involtini melanzane. Sangria pronta e fuoco acceso all’argentino Don Juan: sotto la regia di Marlene Gomes arrivano empanadas, picanha, lomo e entranas. Nei bicchieri Malbec Fin del Mundo. Menu a 120 euro. Eataly chiude alle 18, tranne il ristorante stellato di Viviana Varese, Alice, tra i migliori per il pesce in città. Nel menu a 180 euro (senza vini): super spaghettino con brodo di pesce affumicato, vongole, julienne di calamari e limoni. Alle 24, Champagne Desire Marguerite Guyot. Ma in casa, al ristorante, con gli amici, gli italiani brindano soprattutto italiano. Lo conferma Domenico Zonin, presidente dell’Unione vini: «La produzione di spumanti è cresciuta del 10% e l’export del 13%». Tra le bollicine più amate: i metodo classico Ferrari, Bellavista, Berlucchi, Cà del Bosco e Bisol per il Prosecco.

Il magnifico palagio

Due palazzi rinascimentali, il parco privato più grande della città, 116 tra camere e suite punteggiate di opere d’arte, un ristorante (Il Palagio, una stella Michelin, per ora) dove regna lo chef Vito Mollica (responsabile della cucina anche in via del Gesù, a Milano), il sommelier Walter Meccia che trasmette l’amore per i vini (da un Romanée-Conti 1995 da 18mila euro ai più abbordabili Aglianico o Nebbiolo). Su tutto, la regia cordiale e intelligente del toscano Patrizio Cipollini, direttore d’albergo di quelli che si vedono solo nei film, e invece, per fortuna del viaggiatore, esistono davvero. Stiamo parlando del Four Seasons di Firenze, che con l’hotel di Milano (il primo del brand aperto in Europa) porta in alto il nome della casa. A Firenze, “città piccola e tranquilla, però cosmopolita” (opinione dello chef, qui dal 2008, dopo Milano e Praga) e a poca distanza dagli Uffizi, l’hotel di Cipollini è un trattato della buona accoglienza, non soltanto per ospiti con camera o suite. Gli alberghi a cinque stelle sono luoghi di vita intensa, incontri, cene e aperitivi d’alto livello, spa sempre all’avanguardia. Sono macchine emozionali aperte a tutti che funzionano 24 ore su 24. In Italia, questa filosofia comincia a farsi strada. Godersi il ritmo al Four Seasons di Firenze, sotto gli eleganti addobbi natalizi, fa ben sperare sul futuro sempre più brillante di questi regni del lusso. Impossibile entrare anche solo per un caffè o un gin tonic senza respirare l’aria storica delle mura, che hanno visto Lorenzo il Magnifico, papi e nobili fiorentini, persino un pascià egiziano che vendette la dimora quando gli venne proibito di portare l’harem. Il Palazzo della Gherardesca (XV secolo) e il Conventino (XVI secolo) ospitano genius loci che invitano a riflettere sul mutare dei tempi: dove venivano celebrati riti e intrighi aristocratici, oggi è un via vai di turisti internazionali, uomini d’affari, curiosi delle bellezze d’Italia, innamorati di un grand tour affascinante sin dai tempi di Goethe. Il Four Seasons ha aperto nel 2008 e da allora è stato un continuo mettere a punto l’arte dell’accoglienza che – dateci pure di entusiasti eccessivi – è da considerare perfetta. Abbiamo accennato alle opere d’arte, che fanno dell’hotel un museo aperto, tra affreschi e dipinti vaganti dal Rinascimento al Rococò e all’Ottocento. Abbiamo detto del parco: quattro ettari e mezzo di prati, boschetti, piante rare, alberi secolari (tra cui una sequoia). Tra i punti di forza, la cucina di Vito Mollica conferma il talento di uno chef che governa con il sorriso un ristorante di 110 posti, di cui 55 all’aperto. “Il mio ingrediente migliore è la brigata”, dice Mollica, che sa fare squadra con i suoi. Piatto iconico: i cavatelli cacio e pepe con gamberi rossi e calamaretti spillo. Ma dalla carta, che cambia ogni stagione, occhieggiano il porro arrostito con crema di zucca, tartufo bianco di San Miniato e fonduta di fontina, o l’insalata di astice con trasparenza di sedano verde, per citare piatti dalle proposte attuali. Mollica ama conoscere l’uomo dietro il prodotto: la scelta di un ingrediente, che sia il tartufo bianco o l’agnello, la capasanta o l’olio di Toscana, passa prima dalla storia umana e professionale. E che dire del pasticcere Domenico Di Clemente? È uno dei pochi che osa portare in tavola un soufflé, banco di prova di ogni pastry chef. Vera perla è la cantina, con oltre mille etichette. Meccia l’ha voluta arricchire con molte bottiglie di rari vitigni autoctoni, da proporre assieme ai classici, anche a bicchiere. “Gli italiani”, dichiara il sommelier, “sono curiosi dei vini di regioni lontane da dove vivono. Oppure ordinano un vino della loro zona, purché sconosciuto. Gli stranieri? Non v’è dubbio, scelgono prima di tutto i toscani”.

Al Besame Mucho alta cucina messicana e ambiente moderno. La mia recensione sul corriere

A Tavola

Se rimpiangete tacos ed enchiladas del padiglione Messico in Expo, eccovi accontentati: l’imprenditore ed editore italo-messicano Sandro Landucci prosegue l’avventura con Besame Mucho (piazza Alvar Aalto, tel. 02.29060313). Inaugura ufficialmente a gennaio, ma è già un successo: sorrisi autentici, materie prime di qualità, cuochi blasonati, architettura contemporanea. Dimenticate poltiglie tex-mex piccantissime: qui si fa alta cucina messicana. Da provare aguachile di gamberi e pescato del giorno, habanero, cetriolo e rapanelli e molto altro. Cantina in divenire, 40 euro circa.

Cucina pugliese doc e anche buone pizze Da Franco in via Farini. la mia recensione sul corriere

A Tavola

Gli amanti della cucina pugliese qui non resteranno delusi. La trattoria Da Franco (via Farini 3, tel. 02.7553397) da anni è fedele all’impostazione che prevede orecchiette alle cime di rapa, pasta e fagioli, parmigiana di melanzane, cozze, polpi e altre meraviglie del sud. Con la pizza, buona, ma che non è la prima ragione per sedersi in uno dei pochi e sempre affollati tavoli. Accoglienza sollecita e gentile, tipica delle conduzioni familiari che funzionano. Vino a consumo e qualche bottiglia discreta. Costo medio, sui 30 euro. Da Franco è aperta oggi, domani, il 30 e poi dal 2 gennaio

Bottiglieria Spartaco Tra etichette ricercate e fusione di culture. la mia recensione sul corriere

A Tavola

Cosa fa una brava sommelier giapponese e trilingue dopo aver lavorato con Ducasse e Robuchon? Apre una mini Bottiglieria in via Spartaco 11 (tel. 02 84568911). Norie Harada conta su pochissimi tavoli, ma un ottimo palato ed etichette per intenditori. Alle pareti, champagne di nicchia, venti tipi di sakè e rari whisky dal Giappone. Buon gusto anche nel predisporre semplici piatti frutto di una fusione di culture: millefoglie di tofu, prosciutto di Cormons, pane burro e acciughe, formaggi italiani e francesi. Insomma, 22 metri quadri di garbo e gourmanderie.

Lasciate cucinare loro. Il vero regalo di Natale è non lavorare: le proposte dei ristoranti cittadini, dalle trattorie agli stellati

Pranzo di Natale con i tuoi, ma dove vuoi. C’è chi lo passa in casa, chi va al ristorante. E c’è chi festeggia più con il cenone della Vigilia, soprattutto nelle famiglie originarie del Sud, che a mezzogiorno del 25. Il compromesso più interessante, per andare incontro ai milanesi, è dei cuochi Alessandro Negrini e Fabio Pisani, del Luogo di Aimo e Nadia. «Ci siamo inventati il Mercatino , un take-away stellato», dicono. «Il nostro ristorante di stelle Michelin ne ha due, per merito di papà e mamma, che da 50 anni consolano il palato dei milanesi», dice con orgoglio Stefania Moroni. Si ordinano e ritirano piatti semi pronti, con istruzioni da applicare in casa per suscitare gli «ohhhh» degli ospiti. Per esempio, il tortello con ripieno all’ossobuco e salsa allo zafferano, con tutti gli elementi per la finitura del piatto. In alternativa, c’è il pranzo al ristorante, che esalta la bravura della squadra: 160 euro, vini esclusi. Un piatto come il dentice del Mar Ligure cotto in olio di Nocellara con cimolini di rapa, e il suo ristretto profumato alla verbena, compare in un menu sontuoso che convincerebbe a spendere anche il taccagno Scrooge di Dickens. «Il tacchino va bene per il Natale, ma il Natale non va bene per il tacchino». Per chi si riconosce nelle parole di Achille Campanile, ecco la cena vegana della vigilia da Ghea, con proposte come il seitan con lenticchie e cipolle rosse caramellate (5 piatti a 40 euro). E La Sana Gola (lasanagola.com): si prenota il pranzo del 25 e si ritira in mattinata. A capponi e cotechini, rispondono con seitan Stroganoff, sour cream e patate arrosto profumate al limone; oppure la cassoeula con bocconcini di tempeh (menu 35 euro). Chi ha bambini da tener buoni e desidera un po’ di animazione, scelga il ReNoir Village, appena fuori Milano (San Vittore Olona): ricavato in una vecchia fornace, offre pranzo e spettacolo. I milanesi rispettosi della tradizione vanno da Peck (www.peck.it). Saranno stupiti dalle proposte-menu da farsi consegnare a casa: Trasgressione, Nobiltà e Glamour. Se tra gli amici avete un gourmet, apprezzerà in regalo il «buono» per pranzo o cena della Vigilia da Claudio Sadler (www.sadler.it). Oppure il pranzo del 25 da Berton: 130 euro vini esclusi per apprezzare una cucina da due stelle, anche se la Michelin è stata avara confermandone una. Chi ama il social-tablet da 25 coperti scelga per la vigilia o il pranzo di Natale (quasi esaurito) Priceless, il temporary-restaurant sui tetti di piazza della Scala, che verrà smontato il 31 dicembre: 250 euro (compresi i vini) per scambiarsi gli auguri vicini al cielo. Lo stesso si può fare alla terrazza del Gallia Excelsior, ma solo per un aperitivo con musica, che domina piazza Duca D’Aosta. Ma non è necessario spendere tanto: tra le trattorie abbordabili di Milano, Al’Less imbandisce il pranzo di Natale per 36 euro (vini esclusi). In carta, stracotto al Nebbiolo con polenta e panettone con la resumada. Curiosità poco consolante: per le Feste ogni famiglia butta tra i rifiuti circa 50 euro di beni alimentari. Mai fu più vera la frase di Benjamin Franklin: «Una buona coscienza è un Natale perpetuo».

a dossena il 9° gran tavoliere

I soci dell’associazione Tavole Cremasche hanno attribuito ieri a Angelo Dossena l’onorificenza del Gran Tavoliere 2015. La targa gli è stata consegnata per la sua collaborazione alla manifestazione ‘Tortelli & Tortelli’, per la creazione del concorso ‘TortelloBelloBuono’ e soprattutto per le sue attività di diffusione della cultura culinaria cremasca attraverso opere editoriali e culturali. La consegna del premio è avvenuta alla trattoria Quin di via Racchetti, alla presenza del presidente delle Tavole, Carlo Alberto Vailati, dell’assessore Morena Saltini e del consigliere regionale Agostino Alloni. Era presente anche don Pierluigi Ferrari, che ha parlato del libro ‘La crema di Crema’, che è stato inserito nel catalogo ufficiale di Expo, insieme all’altro volume ‘Crema nel piatto’ di Roberta Schira, grazie all’interessamento di Dossena. Il premiato della nona edizione ha poi annunciato per il 2016 il bis del Concerto Verticale, che tanto successo aveva avuto lo scorso mese di settembre. Nel corso della cerimonia, è stato consegnato, da parte delle Tavole Cremasche, ai rappresentanti dell’associazione Etiopia ed Oltre il ricavato della cena di beneficenza tenutasi nel mese di novembre per onorare la memoria di Nicola Salatti, scomparso nel 2014.

Un nuovo locale tra Napoli e l’Argentina. la mia recensione sul corriere

A Tavola

«Il cuoppo», la mozzarella in carrozza, il pomodorino del piennolo, la pizza verace, la pastiera: un altro ben riuscito scorcio di Napoli alla milanese, con una deviazione in Argentina per le carni alla brace. Si chiama Bacicha (via Orti 31, tel. 02.49.53.86.40) ed è il risultato del maestro pizzaiolo Gianfranco Iervolino, insieme con l’investimento di Stefano De Martino, il ballerino compagno di Belèn. Nonostante i presupposti, qui ci sono per fortuna pochi vip, ma molta sostanza nel piatto. Tanto basta a dare un giudizio positivo di questo locale. Cantina all’altezza. Conto sui 40 euro, chiuso il lunedì.