Profumo di Laguna al Rubacuori di Andrea Asola. la mia recensione sul corriere

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Il ristorante all’interno dell’hotel Chateau Monfort non ci convinceva, ma ora tutto è cambiato. In cucina c’è il giovanissimo Andrea Asola, proveniente da Venissa, laboratorio stellato di nuove promesse creato dalla famiglia Bisol nella laguna veneta. Sotto l’occhio attento del restaurant manager Oscar Cavallera, il Rubacuori (corso Concordia 1, tel. 02.77676708) vi accoglie con rigatoni al ragù di mare e profumo di laguna (al light brunch, 18 euro), il merluzzo carbonaro cotto in acqua di mare o il nuovo menu degustazione di primavera (120 euro). Da provare, il cocktail «bon bon oublié».

Dalla colazione al pranzo: il posto è giusto. la mia recensione sul corriere

A Tavola

Il loro slogan recita «la pausa moderna»: bisogna ammettere che è azzeccato. Da Ca’ Turati (via Turati 40, tel. 02.6597520), locale gestito con amore dai coniugi Recchia, pausa vuol dire prima colazione, pranzo, merenda e presto anche la cena. Alla mattina, croissant con otto tipi di farine (anche alla canapa) e pasticciotto del Salento. In più, confetture e marmellate artigianali. A pranzo, tre versioni: verde (salutista), bianco (piadine, gnocco fritto, spaghetti), rosso (carne e pesci). Formula di successo: difficile trovare un tavolo libero, consigliato prenotare. Costo medio: 15/20 euro.

Grigliate, trippa e ribollita: i classici della Toscana. La mia recensione sul corriere

A Tavola

Fa sempre piacere vedere che un’insegna toscana, una tra le mille che affollavano la città fino a qualche decennio fa, continua a ritagliarsi spazio tra pizzerie, kebabberie e cinesi. È il caso di Sunshine (t. 02.84.57.11.25), che da trent’anni apre in via Salieri 1 (angolo piazza Gobetti), a Lambrate. In tavola grigliate di carne, robespierre con verdure o classici cannellini, ribollita, trippa, dolci homemade (tiramisù e cantuccini). Niente di trascendentale, ma la ruvidezza del carattere toscano qui è declinata in massima cortesia e attenzione al commensale. Costo medio, 25/30 euro.

Non tutti i vegetali vengono per nuocere

«Benvenuti nella mia casa». Così accoglie Barbara Clementina Ferrario, patronne di Capra e Cavoli. La sua casa-giardino è un locale all’Isola (via Pastrengo 18, tel. 02.87.06.60.93) dove la carne è bandita, ma il pesce no. «Mi prendo cura di chi ama gli ortaggi, chi soffre di intolleranze e chi fa un po’ di capricci. Ma con gioia: essere vegetariani o vegani non è un supplizio». Un soppalco-balconata sovrasta la sala, che sembra un allegro dehor di stile provenzale. Prima che in via Pastrengo, Ferrario si fece apprezzare con la gestione dello storico Circolo Sassetti, dove impostò l’offerta secondo logiche vegetariane. La cucina del Capra e Cavoli è improntata sull’uso creativo dei vegetali. Con la proprietaria e «chef bianca» (le sue torte vegane sono gustose sorprese) in cucina c’è il siciliano, di vagabondaggi gastronomici internazionali, Luca Giovanni Pappalardo («chef nero»), che collabora con il progetto Smart Food della Fondazione Ieo dell’oncologo Umberto Veronesi. Anche per questo il ristorante è tra i più salutisti di Milano. Da questo mese, menu rinnovato con i Falsi d’Autore. Come la Rivoluzione Vegana («tavolozza» di sushi a base vegetale) e il Maiale Addio (tonno porchettato). Poi Risotto non risotto (i chicchi sono di sedano rapa); Quasi una capasanta (capasanta di tofu su carciofi brasati); Galassia di Polpette (riso, verdure e mandorle). Pane fatto in casa, buono ma bisognoso di qualche accorgimento per renderlo più soffice, e vini naturali serviti con competenza. Barbara Clementina Ferrario, varesina arrivata all’Isola nel 1994 per amore, ha lavorato come art director in pubblicità. E si vede dalla cura con cui viene presentato il menu, un quaderno artistico da sfogliare in attesa dei piatti. Con lo chef Pappalardo, l’accordo è perfetto. Aperto per aperitivo e cena da martedì a sabato, anche per il brunch sabato e domenica, costo medio sui 40 euro.

Il Pomiroeu di Seregno Tappa obbligata per ogni gourmet. la mia recensione sul corriere

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Poco distante da Milano, il cuoco Giancarlo Morelli continua a imperare sulla Brianza: tecniche di cucina in primo piano e una devozione trentennale nel cercare l’essenza dei sapori. È il Pomiroeu (via Garibaldi 37, tel. 0362.23.79.73, Seregno): dove oggi sorge una corte, un tempo fioriva un pometo. Lo staff d’eccezione, una cantina (ex ghiacciaia) olimpionica e la filosofia dello chef rendono la tappa in questo locale un dovere di ogni gourmet. Temolo marinato ai profumi di bosco, casoncello ripieno di ricotta acida, fichi secchi, costoletta di cervo o il pescato del giorno. Da 60 euro.

Pesce fresco (e a buon mercato) anche da asporto. La mia recensione sul corriere

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Uno dei ristoranti di successo del gruppo Seven (dietro c’è la mente brillante di Andrea Meoni) è Zio Pesce (foto) in Porta Romana (via Mattei 12, tel. 02.49794967), il locale gemello è sui Navigli. Rappresenta l’eccezione alla regola: i ristoranti dove si serve il pesce fresco sono cari. Meoni, dovendo rifornire più locali, riesce a procurarsi il meglio di gamberi, salmoni, pesce spada, tonni e ombrine a prezzi competitivi. Niente stellati, ma la cucina è più che corretta. A partire da 40 euro. La cantina è attenta a biodinamica e vini naturali. Tutti i piatti sono anche da asporto.

Un nuovo locale tra Napoli e l’Argentina. la mia recensione sul corriere

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«Il cuoppo», la mozzarella in carrozza, il pomodorino del piennolo, la pizza verace, la pastiera: un altro ben riuscito scorcio di Napoli alla milanese, con una deviazione in Argentina per le carni alla brace. Si chiama Bacicha (via Orti 31, tel. 02.49.53.86.40) ed è il risultato del maestro pizzaiolo Gianfranco Iervolino, insieme con l’investimento di Stefano De Martino, il ballerino compagno di Belèn. Nonostante i presupposti, qui ci sono per fortuna pochi vip, ma molta sostanza nel piatto. Tanto basta a dare un giudizio positivo di questo locale. Cantina all’altezza. Conto sui 40 euro, chiuso il lunedì.

Classici milanesi e bollito misto all’Osteria Conchetta. La mia recensione sul corriere

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L’Osteria della Conchetta (via Conchetta 8, tel. 02.8372917) non è certo una novità, ma a volte urge monitorare le vecchie insegne, specie se cambiano gestione. In cucina, accanto ai piatti milanesi qualche volo pindarico, ma noi consigliamo il mangiare meneghino: brasato, cassoeula, nervetti e ossobuco, risotto al barolo e riso al salto. Su tutto, la costoletta, che pur essendo «a orecchia d’elefante» conserva morbidezza e l’osso. Di giorno il locale è caoticamente affollato per pranzi di lavoro, la sera acquista un’aura più romantica. Il mercoledì: bollito misto al carrello. Trenta euro circa.

Com’è deliziosa Venezia

L’arte, l’acqua, la storia, i ponti, i palazzi, i vaporetti, i tetti, le terrazze. Se la Serenissima sa ben corteggiare gli occhi, non dimentica certo di conquistare il palato. L’importante è non cedere al banale e ricercare l’eccezionale.

 

Non esiste un reale motivo per tornare a Venezia. Perché i motivi sono tanti e perché non si finisce mai di scoprirla, di sondarla e di lasciarsi ammaliare dalle acque scure e trafficate che tanto hanno da raccontare. La sua capacità di stregarci all’infinito – e in autunno ci riesce meglio che in altre stagioni – è inversamente proporzionale alla sua capacità di nutrire il turista distratto dalla sua bellezza. Ma se uno si vuole proprio concentrare sull’offerta food veneziana non può che ammettere il suo essere deludente, cara e poco trasparente. Accade quello che avviene in tutte le città turistiche, il conto varia, a seconda che a chiederlo sia il turista giapponese o un nativo della Laguna. Esauriti i buoni (e scarsi) indirizzi degli amici gourmet come il ristorante Al Covo, il Vecio Fritolin a Rialto e qualche trattoria in terraferma, conviene concedersi il piccolo lusso (non così distante da alcuni salassi ingiustificati) di un piatto d’autore. Per esempio, un breakfast al Danieli, forte di una nuova squadra e di una visuale unica che fece innamorare la Callas a vita, oppure un tè, accolti dalle braccia accoglienti di un cinque stelle extra lusso. L’ultima scoperta è Massimo Livan, executive chef dell’Antinoo’s Lounge & Restaurant, all’interno del Centurion Palace, nella zona Dorsoduro, tra Punta della Dogana e la Collezione Peggy Guggenheim. Un antico edificio conosciuto come Palazzo Genovese è stato trasformato in un gioiello della catena Sina Fine Italian Hotels. Visto da Canal Grande offre una facciata gotica, ma gli interni e le suite sono modernissimi, frutto della bravura dell’architetto fiorentino Guido Ciompi. Lo stesso duplice volto si può dire dello stile di Livan. Lo chef, nato nel sestiere Castello, ha sposato la tradizione veneziana rendendola contemporanea e più salutare grazie alla presenza di erbe, fiori e frutta. Un gioco di ingredienti che si intrecciano per ricongiungersi in un’armonia finale nel nome dell’italianità e dell’eleganza. Perché il suo credo in cucina è quello di “raggiungere l’equilibrio a tutti i costi”. Così, accanto al rombo in crosta di caffè con caprino e wasabi e alle pietanze più estrose convivono lo spaghetto alle vongole, le seppie al nero e gli scampi al saor, uno dei signature dish dello chef. “Un mix di piatti molto gradito dai nostri ospiti stranieri”, conferma il general manager Paolo Morra, “che speriamo possa attirare anche i veneziani più esigenti e affezionati alla tradizione”.

Atmosfere rètro tra arrosti e polenta nel Parco del Ticino. La mia recensione sul corriere

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Nel cuore del Parco del Ticino, a due passi dal Naviglio Grande, da Lucrezia (via De Barzi, 11 Robecco sul Naviglio info al telefono 02 9470784) tutto sembra rimasto fermo a 50 anni fa. Un locale per cerimonie e banchetti fa storcere il naso ai gourmet, ma quanto è rassicurante. Una sfilza di antipasti, tortelloni, piatti di pesce e arrosti di carne. L’autunno regala i risotti, la polenta con porcini trifolati e, nascosta tra (tanti,troppi) piatti in carta, una commovente insalata russa di cui si è smarrita la memoria in qualche pranzo domenicale di famiglia. Con 25 euro si fa la classica «pacciada» veronelliana.