Cucina lombarda doc con il tocco di uno chef napoletano. la mia recensione sul corriere

A Tavola 

La gioia di una scoperta l’ho provata al Derby Grill nel ristorante del magnifico e riservato Hotel de la Ville dei fratelli Nardi a Monza (viale Margherita di Savoia, 15, tel. 039.39.421). Si chiama Fabio Silva e dal 2011, da napoletano, si è affinato nella cucina lombarda riuscendo a renderla leggera e contemporanea senza «rivisitarla» (orribile termine) e nel rispetto della tradizione. Impeccabili risotto e ossobuco, gli spaghetti, la frittura di persico reale e mandorle, cavolo cappuccio, maionese allo yogurt. Cantina di gran livello. Merita una stella. Prezzi a partire da 50 euro.

Degustazione di vini argentini al Don Juan. la mia recensione sul corriere

A Tavola

Sono ormai sedici anni che il ristorante argentino Don Juan (via Altaguardia 2, tel. 02.58.43.08.05) delizia i milanesi con carni della Pampa — dal bife de chorizo all’asado, al filetto di Angus —, empanadas e dulce de leche del Paese di Papa Francesco. Sedici anni nel nome della tradizione argentina, anche se la patron Marlene Gomes è una vulcanica brasiliana. Per festeggiare, stasera al Don Juan ci sarà il primo di una serie di eventi: per chi cena, degustazione gratuita dei vini Felipe Rutini, finora distribuiti solo in Argentina. Prezzo medio: 50 euro. Prenotazione obbligatoria

Male pizza e carne, bene il sushi Delivery, un lusso con poco gusto. Prezzi alti e tempi (lunghi) certi. La consegna dei pasti è un settore in crescita

Una serata di pioggia per mettere alla prova il cosiddetto delivery food, la consegna del cibo a domicilio, in città. Sono passati 50 minuti dall’ordine: i vari siti parlano chiaro, da 30 a 60 minuti per la consegna. Prima, se avevi fame e non ti andava di uscire, l’alternativa era ordinare la pizza nei dintorni. Ora c’è il delivery, business che funziona se si pensa che il primo, Justeat.it, colosso danese, raggruppa più di 40 mila ristoranti nel mondo ed è quotato in Borsa. Cominciamo da questo.

La scelta

Digitando l’indirizzo del sito dedicato si riceve la richiesta di scaricare l’applicazione, poi inserire l’indirizzo dove far arrivare l’ordine. Compaiono 227 ristoranti aderenti, nel raggio di pochi chilometri. Dall’africano al greco, dai fritti al salutare. Ordine minimo 20 euro. Il sovrapprezzo per la consegna varia da 2 a 7 euro, ma alcuni (pochi) lo fanno gratis, ordine minimo 30 euro. Decidiamo di pagare con carta di credito, ma viene chiesto il security code che però non si trova. Ricominciamo da capo, scegliendo di pagare in contanti. Optiamo per le categorie più richieste: hamburger, pizza, sushi e cinese. Scegliamo Vintage Bakery, locale di ispirazione americana in via Thaon di Revel che ha fama di usare carne di buona qualità. Clicchiamo su Cheesy Burger con bacon: piatto ben spiegato, 180 grammi di carne di bovino adulto piemontese, formaggio cheddar, bacon croccante, cipolle di Tropea, pomodoro, lattuga, patatine speziate di contorno (comprese nel prezzo). Intanto che aspettiamo facciamo partire un altro ordine scegliendo Bon Wei, ottimo ristorante di alta cucina cinese. Il costo di consegna, ordine minimo di 20 euro, è alto: 7 euro. Il campanello si fa strada tra gli scrosci di pioggia: ore 21.45. Scendiamo, nella compilazione dell’ordine non abbiamo scritto bene piano e cognome. Il ragazzo smonta dal motorino brandizzato, tira fuori un sacchetto da una scatola termica. Lui è fradicio, il pacco intatto. Gli lasciamo la mancia. Il cibo è ancora tiepido, nonostante la pioggia. Le patate speziate al forno sono molto sapide, morbide dentro e ancora croccanti fuori. I due strati di pane sono troppo asciutti, e spessi: l’equilibrio tra carne e pane è sbilanciato. L’hamburger al primo morso è appetitoso, nonostante il pane sbagliato, ma la carne, raffreddandosi, diventa stopposa e grigia. Non riusciamo a finirla e la lasciamo nella sua confezione. La spesa è di 22 euro.

La confezione

Intanto, mancano 14 minuti allo scadere dell’ora per la consegna del nostro cibo cinese. Ecco il campanello, in anticipo. Pacchetto Bon Wei composto da: riso saltato piccante, 2 involtini di verdura, 6 ravioli di gamberi: totale 29,50 euro. Piuttosto caro. Prima di ogni consegna arriva un messaggio che ci rassicura: tranquilli, stiamo preparando il tuo cibo. Poi chiedono se nel frattempo rispondiamo a un questionario per migliorare il servizio. Il cibo cinese è ancora caldo, gli involtini croccanti e leggeri nonostante la frittura, i ravioli al vapore dal ripieno delicato ma preciso sanno di gamberi. Buon livello su tutta la linea. Terzo esperimento con Foodora.it, stessa procedura dei concorrenti. Scegliamo il ristorante Thisisnotesushibar.com e ordiniamo un menu «Maxi sushi e sushimi». Ordine rischioso. Il pesce sarà stato abbattuto a meno 30 gradi per scongiurare il pericolo Anisaki? Un sms ci informa che un piatto non è disponibile, propongono un’alternativa. Accettiamo. Dopo 30 minuti niente. Fuori continua a diluviare. Riceviamo una telefonata: «Pensavamo avesse rinunciato all’ordine, abbiamo ricominciato da capo». Ok, aspettiamo. Alle 23.15 arriva il pacchetto. Paghiamo in contanti. Con sorpresa, tutto è fresco, profumato, le fettine di pesce ancora piacevolmente umide. Questo cibo nasce freddo, non soffre il trasporto e infatti è tra i più ordinati.

Il codice

Non siamo ancora soddisfatti, vogliamo anche una pizza. Partiamo da Bacchetteforchette.it e scegliamo quella che si chiama A’Pazziella, ottima pizzeria. Stavolta chiedono il bf code, un codice che rilascia Bacchetteforchette.it: ordiniamo una loro specialità, via di mezzo tra pizza e calzone. L’ordine arriva in 40 minuti, ma la pizza è immangiabile. Non perché non sia di qualità, la lievitazione si intuisce corretta, ma il cornicione è molliccio. La mozzarella, ottima, è finita tutta al centro, lasciando il resto scondito. La pizza a domicilio è un castigo per ogni gourmet. Conclusione: il delivery è una magia propria delle grandi città, benvenuto. Un servizio che costa e andrebbe usato con sapienza nella scelta dei piatti. Voti? Pizza collosissima, sushi più che discreto, cinese ottimo (ma un po’ caro), hamburger con carne di qualità e pane immangiabile. Il cibo nato per essere consumato caldo perde il 30 per cento di appetibilità. Il packaging è curato. Costo adeguato al servizio. Ma per usufruirne devi essere pratico della rete, sapere che aspetterai un’ora circa, avere un security code per carta di credito. E non essere un severo gourmet. Il lusso è avere cibo fresco cucinato solo per te, davanti ai tuoi occhi. Il delivery, invece, è l’opposto.

Sapori e colori della Costa Azzurra a Porta Volta. la mia recensione sul corriere

A Tavola

Se il cameriere ti dice: «prego dottore, le ho tenuto il solito bel tavolo», non sei precipitato negli anni 90. Sei da Gente di Mare (Bastioni di Porta Volta 5, tel. 02.29.00.58.23), solido locale di pesce con la rassicurante aria di prima della crisi: ambiente caldo, pesce fresco e prevalentemente crudo. Molte tipologie di ostriche: dalla Belon alla Fine de Claire, dalla Label Rouge alla Pousse en Claire, fino alla Mignon n° 5. Locale Costa Azzurra Style con ampi vassoi di scampi, gamberi rossi, tartufi, ricci di mare e primi piatti di pesce corretti. Interessante la cantina con etichette gioiello tra i Super Tuscan. 60 euro.

Feeling the future

Prendersi cura: del territorio, della natura e della cultura. Questo il messaggio della first edition di Care’s – The ethical Chef Days, inno alla sostenibilità firmato da Norbert Niederkofler, in tandem con Giancarlo Morelli e il comunicatore Paolo Ferretti. E l’eco etica risuona fra le Dolomiti

Qual è il compito di un chef o di un patron dal momento che un cliente entra nel suo locale? Prendersi cura di lui. In un delicato equilibrio tra discrezione e affettuoso accudimento, il cuoco dovrebbe far sì che ogni commensale, alzandosi da tavola, dicesse: “Come mi sento bene qui. Vorrei tornarci”. Care’s – The ethical Chef Days, alla prima edizione in Alta Val Badia, ha riunito a San Cassiano e dintorni trenta cuochi da tutto il mondo e ha cercato di capire, in quattro giorni, quali siano gli elementi imprescindibili che compongono “il prendersi cura”. E soprattutto quale strada percorrere per dare il via al cambiamento, al grido di terra e comportamento etico. Noi, food writer e cuochi che lavoriamo nel settore, sono almeno tre anni che sentiamo nominare il termine sostenibile, tanto che è quasi vuoto di significato. “Etico non significa fare l’orto dietro il ristorante”, sostiene perentorio Davide Scabin, durante una delle tavole rotonde. “Non potrebbe che essere così”, dice Claudio Sadler, portavoce di tutti quelli che lavorano nelle metropoli. “Io compro il tonno rosso, atto che molti considerano poco etico, ma cerco il migliore sul mercato. Etica è la scelta che si fa ogni giorno insieme ai propri fornitori”. Basta con questa retorica del chilometro, tuona Davide Scabin. “Chilometro zero oggi significa Italia”. Intanto, i cuochi insorgono contro burocrazia e tasse che impediscono ogni sviluppo. Massimo Bottura continua la sua battaglia contro lo spreco e Michel Bras, ospite blasonato, ricorda che la vera missione di ogni chef è regalare emozioni. E mentre noi umani ci interroghiamo, assaggiamo, degustiamo, scopriamo nuovi sapori e abbinamenti, le Dolomiti non hanno risposte. E imperturbabili ci osservano silenziose.

Da «Le Vrai» il buongiorno si vede dal croissant. La mia recensione sul corriere

A Tavola

A sei mesi dalla nascita di Le Vrai (via Galilei, ang. Montesanto, tel. 02.36.63.07.90) il verdetto è chiaro. Mancava a Milano un locale di cucina francese, non la «haute cuisine» osannata dalle guide, ma la vera cucina domestica cui gli chef stellati si ispirano da sempre. Grande successo soprattutto per il lavoro della patronne Claire Pause, figlia d’arte. Apre dal mattino (croissant e pani da premio Oscar) sino al dopocena con in mezzo un ricco aperitivo chic, complice la liason con Perrier Jouet. In carta, selezione di formaggi, quiche lorraine, terrina di foie gras d’anatra. Quaranta euro.

Rifugio a cinque stelle

“Ma noi abbiamo il Monte Bianco” pensava il creatore di eventi Andrea Baccuini, tornando da una vacanza in un lussuoso chalet in Canada. Due anni dopo, grazie alla collaborazione con il guru dell’immobiliare Giacomo Sonzini, ecco nascere Super G a Courmayeur (Ao). Il primo lodge di montagna sulle piste a due mila metri in Italia: solo sei camere dedicate a sei «giganti», da Albert Einstein all’artista Banksy, e aperitivi su due terrazze brandizzate Ferrari e Veuve Clicquot. A tavola niente banale polenta con i funghi: lo chef Pasquale de Filippis propone piatti di varie regioni italiane (prezzo medio 80 euro). Tornati in paese merita una visita il Museo Alpino Duca degli Abruzzi (piazza Abbé Henry, ingresso: cinque euro) che raccoglie i ricordi delle spedizioni più famose. E poi, il giro dei gourmet: i formaggi migliori da Panizzi (via Circonvallazione 41, tel. 0165 843041, panizzicourmayeur.com), e i ravioli buonissimi al Pastificio Gabriella (passaggio dell’Angelo 2, tel. 0165 843359). Mentre per merenda cercate la pasticceria artigianale Dolce Voglia (rue Entrelevie 4, tel. 0165 846685, pasticceriadolcevoglia.com). Per fan delle renne: qui c’è l’unico allevamento in Italia (strada Entrelevie 4, tel. 338 5648400, nataleinrenna.com). Le vicine terme di Pré Saint Didier (allée des Thermes, tel. 0165 867272, termedipre.it, ingresso da 48 euro) sono l’ideale per trattamenti e relax: tre vasche all’aperto, saune, idromassaggi, percorsi Kneipp. Tentazione finale, per i più viveur: vedere il Bianco dall’alto in elicottero (GMH helicopter services, tel. 0165 89137, gm-helicopters. com, da 300 euro). E sulla via del ritorno, vale la sosta il napoleonico Forte di Bard (tel. 0125 833811, fortedibard.it, ingresso: otto euro)

Pasta fresca arancini e baccalà da Nonna Domenica. la mia recensione sul corriere

A Tavola

Più che la casa della nonna, questo minuto locale di Porta Romana sembra uno di quegli edifici con case a ringhiera ristrutturate. Il patron è economista e sta in sala, in cucina regna un’architetta: il risultato non è malvagio, se si pensa che entrambi sono alla prima esperienza. Poche proposte e tutte di ispirazione regionale. Paste fresche, baccalà, arancini di riso, torta alle mele. Certo, quando la carta è corta, i piatti devono essere perfetti e qui manca un poco di esperienza, ma l’umiltà di migliorare c’è. Nonna Domenica (via Altaguardia 16, tel. 02.58317200), sui 35 euro.

Vero street food nella Ravioleria di via Paolo Sarpi. la mia recensione sul corriere

A Tavola

Un nuovo vero street food a Chinatown attira ogni giorno una piccola folla. In una cucina a vista quattro italo-cinesi fanno poche cose, ma bene: ravioli di manzo o maiale e crêpes alle verdure da portare a casa o da mangiucchiare per strada, percorrendo il chilometro di via senza auto. Si chiama Ravioleria Sarpi (via Paolo Sarpi 27, tel.331.8870596). Sono a vista anche gli ingredienti: farine biodinamiche delle Cascine Orsine, carni piemontesi della premiata macelleria Sirtori, lì accanto. Una grande lezione di storia della gastronomia: i ravioli non nascono solo in Italia. 4 ravioli, 2 euro e 50.

Una città di cioccolato. Festival Al via domani il «Salon du chocolat» dedicato al «cibo degli dei»

«Non c’è così tanta metafisica sulla terra come in un cioccolatino», scriveva il poeta Fernando Pessoa. Ed è solo uno dei tanti deferenti inchini verso il cioccolato, conosciuto come «cibo degli dei». Che vanta un campionato del mondo, film e gadget dedicati, folte schiere di «addict». E l’itinerante Salon du Chocolat, che dopo l’edizione di Parigi, arriva per la prima volta in Italia, al The Mall, da domani a lunedì 15 febbraio. Con il deprezzamento del petrolio, l’«oro nero» è ormai il cioccolato: il mercato nazionale da solo vale 3 miliardi di dollari e ogni italiano ne consuma 400 grammi all’anno (metà rispetto agli altri europei: ma ci stiamo allineando). La formula del Salon, che in 22 anni di storia ha conquistato 165 milioni di visitatori, è simile ad altre: degustazioni, dibattiti, pasticceri che si esibiscono, appuntamenti per bambini. Ma qui il protagonista è solo il cioccolato. Per esempio, «Il talento del cacao: un percorso sul Criollo». Per scoprire il valore, e riconoscerne la qualità, del cacao più raro e pregiato. Sarà Gianluca Franzoni, fondatore e presidente di Domori, a guidarci: dalla tostatura in diretta delle fave di Chuau, all’assaggio delle stesse, prima crude poi tostate; fino alla degustazione del raro Guasare e dell’essenza del cioccolato 100 per cento Criollo. Davide Comaschi, pastry chef campione del mondo di cioccolateria e testimonial del Salon du Chocolat Milano, ha creato un dolce ispirato a San Valentino. Nome: «Cuore Mio», a forma di cuore, composto da pan di Spagna e mousse alla fragola e cioccolato bianco, ricoperto di glassa alla fragola. Assieme a Comaschi, tanti chef e pasticceri, che spesso rivestono entrambi i ruoli: come Andrea Besuschio, Paolo Griffa, Vianney Bellanger, Philippe Bell, Andrea Provenzani e Lorenzo Lavezzari (prepareranno sorprendenti ricette salate), Diego Crosara e i maestri veterani Iginio Massari e Gino Fabbri. Verrà addirittura preparata, davanti allo sguardo attento del pubblico, la celebre Torta Pistocchi di Firenze (ora anche a Milano) che in tempi non sospetti era già senza glutine e che ora si moltiplica in tante varianti. Gran parte del The Mall sarà dedicata ovviamente all’acquisto di cioccolato, sia nazionale che proveniente da tutto il mondo. Superfluo ricordare le associazioni mentali tra passione e oro nero, ma i visitatori saranno accolti da un Cupido di cioccolato alto tre metri. E visto che siamo nella capitale della moda, in apertura di salone sfileranno abiti di cioccolato disegnati da dieci giovani stilisti della Naba in collaborazione con dieci maestri pasticceri. Fashion da guardare e degustare.