Golosaria apparecchia per tutti Trecento produttori, 100 cantine, 80 appuntamenti: caccia al cibo di qualità

«Se uno vuol cogliere il fermento dell’Italia del gusto, che c’è, deve passare da qui: per bersi non solo un bicchiere di birra o di vino, ma un concentrato di fiducia nel nostro Paese». Qui è Golosaria, il dispensatore di fiducia è Paolo Massobrio, ideatore con Marco Gatti della rassegna sulle gastro-eccellenze italiane che compie dieci anni. Per festeggiare, la kermesse si allarga al MiCo (FieraMilano City, da sabato 17 al 19 ottobre, viale Scarampo ang. Colleoni, gate 4; ingresso 10 euro al giorno, 21 per i tre giorni, info www.golosaria.it). Golasaria si capisce bene con le cifre: oltre 300 produttori in 12 mila mq, 15 cucine di strada, 100 cantine, cuochi che preparano specialità davanti al pubblico, 80 appuntamenti a tema, 150 espositori, 30 sponsor, molte start up da scoprire. L’anno scorso i visitatori sono stati 17 mila, per questa edizione — intitolata «La qualità che nutre il futuro» e inserita nel ricco palinsesto di ExpoinCittà — se ne aspettano ventimila. Centinaia di produttori potranno incontrarsi, conoscersi e creare humus per germogli umani, culturali ed economici. Massobrio e Gatti, con la loro affiatata squadra, scovano e premiano novità degne di nota, ogni anno diverse. Per esempio, tra i 100 migliori vini premiati ai vertici due lombardi: il Minego, rosso di uve barbera prodotto in Val Camonica dal bresciano Antonio Ligabue, e il Castello di Stefanago, riesling di Antonio e Giacomo Baruffaldi, da Borgo Priolo nel Pavese.«La nostra selezione», dicono gli ideatori di Golosaria, aggiustandosi il papillon diventato marchio di fabbrica, «è il polso reale delle tendenze produttive: molti vini sono biologici e biodinamici, una realtà ormai matura anche in Italia». I visitatori saranno attratti da molte curiosità: i risi vercellesi coltivati dalle tre sorelle Rosso e proposti con una miscela di fiori commestibili; l’azienda piemontese «Optima carne» con allevamento sostenibile; la start up di Roberto Zulato, che riprende la tradizione biellese di distillati ed elisir a base di erbe di campo, sambuca e frutti selvatici; le oche romagnole allevate a latte e miele da Michele e Luca Littamè, nel Padovano. E ancora, il barbecue alIdeatori Marco Gatti e Paolo Massobrio, creatori di Golosaria; sotto risaie l’italiana per diventare «grill master», la birra di sorgo, il paté di fegato di lumache (sì, avete capito bene), il pastrami con carne di razza bovina piemontese, la confettura calabrese di annona (frutto che è un mix tra banana e avocado), la cucina in vasocottura, il pane carasau nero. Insomma, una vera passeggiata, con un’infinità di tentazioni, nel Buono Italiano. E per la prima volta, Golosaria lancia il Premio Fraizzoli (storica azienda milanese di uniformi professionali), che mette gli allori non alla cucina, ma allo stile di accoglienza nei ristoranti: tra i 15 laureati, Aimo e Nadia di Milano. La classe non tradisce mai.