Un Mercato gourmet da scoprire nel centro di Como. la mira recensione sul corriere

A Tavola

Una bella scoperta per una gita a Como: The Market Place (via Borsieri 21, tel. 031.27.07.12), ispirato ai mercati londinesi per gourmet. Davide Maci è il cuoco che merita un approfondimento, titolare con il gemello anche del barbottega Fresco Cocktail Shop. Convincente il menu di primavera con la scelta poco banale del costato di manzo, proposto con brodo al rafano, carote in schiuma e glassate. Il polpo al barbecue e i ravioli baccalà, emulsione di tè al bergamotto, fave e piselli, invece, mostrano destrezza con le tecniche di esecuzione e cotture. Da 40 euro.

Enrico Bartolini s’insedia al Mudec Fioriscono gli stellati nella primavera milanese.

«Avevo bisogno di crescere in un luogo dove la cultura è di casa. Voglio confrontarmi con il mondo che passa da una città internazionale come Milano». A pochi mesi dall’apertura del ristorante al Mudec, la vecchia gestione (brand Giacomo) se ne va: arrivano, a dare smalto, due stelle Michelin, quelle di Enrico Bartolini. Sarà il quarto locale in città a sfoggiarle, aggiungendosi a Claudio Sadler, Carlo Cracco e il Luogo di Aimo e Nadia. Ex enfant prodige, oggi una certezza, Bartolini è l’unico cuoco italiano a far avanguardia facendoti credere di mangiare la tradizione. Nel 2000, giovanissimo toscano di Pescia, faceva parlare di sé i gourmet: si alzava all’alba per accudire il suo lievito madre, tra i primi cucinava guance di manzo su per le colline dell’Oltrepò. Poi mise radici al Devero Hotel di Cavenago Brianza, ma il suo sogno restava Milano. Il Mudec è habitat ideale per Bartolini, animale metropolitano che non dimentica le origini toscane. La sua cucina è «contemporary classic», finto ossimoro che si spiega alla perfezione con un suo piatto: i bottoni di olio, lime, sugo di caciucco e polpo alla brace. La firma di Bartolini si estende al bar-bistrot e agli eventi presso il Museo e l’area Ex Ansaldo. Con il cuoco star, la fidatissima brigata: il sous chef Remo Capitaneo; Sebastien Ferrara, direttore di sala ed esperto sommelier; Antonio Maresca, pasticcere. Chi non l’ha ancora fatto potrà assaggiare i suoi classici, che entusiasmano gourmet da tutto il mondo. Esempio, il risotto alle rape rosse e salsa al gorgonzola; guancia di vitello con patate ai grani di senape; crema bruciata con ciliege, meringhe e mirtilli ghiacciati. La primavera milanese, oltre a Bartolini, vedrà sbocciare altri stellati: Luigi Taglienti (ex Trussardi e Palazzo Parigi) con un nuovo ristorante; Giancarlo Morelli del Pomiroeu di Seregno con la trattoria Trombetta; Felice lo Basso (ex Unico) in Galleria.

Langosteria alla conquista del centro Nell’area dell’ex cinema Excelsior s’inaugura il nuovo bistrot di Enrico Buonocore

«Dopo due ristoranti avevo giurato di non aprirne altri in Italia. Ci sono ricascato, colpa del mio amore per Milano». Lo dice Enrico Buonocore, patron di Langosteria, all’inizio ristorante al 10 di via Savona, poi doppiato con il Bistrot e ora, con lo sbarco in Galleria del Corso, diventata gruppo. Negli ultimi tre anni, ha moltiplicato il volume d’affari e veleggia sui 130 dipendenti. Quando a Buonocore hanno proposto un’area dell’ex Excelsior, non s’è fatto da parte. «Il centro di Milano è morto, svilito, senza palato. Veder questo tratto della Galleria del Corso, verso piazza Beccaria, così degradato mi ha convinto a gettarmi nell’avventura. Clochard, rifiuti, tombini rotti. Un milione di investimento e tra poche settimane siamo a pieno regime, aperti dalle 8 alle 24. Per Langosteria Cafè ho assunto una persona che pulisce fuori: basta mozziconi in galleria. E ho in mente grandi cose, in accordo con tre condomini e con il Comune». Langosteria Cafè è un vero locale metropolitano: lampade inglesi, due dehors in cristallo luminosissimi, 32 posti al banco, 100 totali. Distribuiti in vari spazi, come nel locale di via Savona (ora si chiama solo Langosteria, senza il civico 10 nell’insegna). «Guardi la fregola che spadellano: sembra che dica mangiami». Anche qui i piatti di pesce che hanno fatto innamorare i milanesi? «Certo, ma anche carne, quella dei Damini, che hanno la magnifica macelleria ristorante nel Vicentino, con una stella Michelin». L’hamburger di limuosine è perfetto, asciutto ma morbido, non lascia una goccia nel piatto. «Ha notato? Niente bottiglie di superalcolici in vista. Le ho nascoste in grossi bauli che come per magia si aprono solo all’ora di pranzo. E per la pasticceria ho creato un laboratorio qui sotto da dove rifornisco tutti i miei locali. Il pasticcere è siciliano, Salvatore Rimpici». La pasta sfoglia è fatta a mano, cosa che rende cannoncini e croissant validi motivi per fare colazione qui. Alla Langosteria Cafè, aperta in sordina e per ora solo a pranzo, ma già un successo (il «Buonocore touch»?), tra i punti di forza ci sono i cocktail. «Senza, a Milano un locale non marcia». Il patron sfodera un ventaglio di cartoncino, petali tra cui scegliere il cocktail preferito firmato Drinkable. Locale di successo vuol dire materia prima (il pesce viene dal miglior banco del Mercato Ittico: i proprietari sono soci di Langosteria), persone e mood. «Da me si sorride, ma non a denti stretti», conclude il patron. «Ho dieci persone solo per far accomodare i clienti». E la musica? Creata apposta? «Sì, abbiamo la consulenza per tutti i locali di Marco Fullone, Radio Montecarlo»

Come scegliere la colomba perfetta. Dalle ricette tradizionali alle varianti creative: occhio al profumo e all’etichetta

Mentre per la Pasqua a Parigi impazzano i «Fish in the clouds» di Jean-Paul Hèvin — pesciolini di cioccolato al latte ripieni, con la testa infilata in un cerchio di zucchero a forma di nuvola — , a Milano vince ancora la colomba. Amata in poche varianti: con cioccolato o con arance candite o entrambi. I prezzi variano dai 3/4 euro della grande distribuzione per stazionare intorno ai 35 euro per le colombe artigianali. Per orientarsi tra i prodotti artigianali chiediamo aiuto alla pluripremiata Anna Sartori di Erba (www.pasticceriasartori.it ), che fa una delle migliori colombe in circolazione. «Primo, leggere l’etichetta. Serve per stabilire la presenza degli aromi di sintesi, mono-digliceridi e altri elementi che ne prolungano la conservazione. Più la scadenza è vicina, più siamo garantiti. Appena tagliata deve sprigionare profumo di burro e zucchero, il colore dev’essere giallo paglierino non troppo intenso. Se la materia prima non è eccellente, sono in agguato acidità di stomaco e ritorni di aromi non naturali». Che la qualità di una buona colomba si riconosca annusando è una verità, ma non accessibile a tutti. La vista ci aiuta, per esempio nel considerare l’alveolatura. Davide Comadella Pasticceria Martesana spiega: «Se i buchi sono troppo grandi o troppo piccoli c’è un problema di lievitazione. L’alveolatura deve essere di media e uniforme per mantenere la giusta umidità. Le mandorle croccanti e la crosta non troppo scura». Vergani, oltre alla colomba classica, ha pensato all’alternativa vegana certificata con olio d’oliva extravergine, farina di riso e burro di cacao. Lorenzo Panzera la propone anche a fette da gustare in relax con varie miscele di Tè Oolong al profumo di castagna e panna (www.panzeramilano.com ). Persino in degustazione alla cieca si riconosce la fragranza della colomba firmata Pasticceria Giacomo. A produrla sono le sorelle Giulia ed Elena Bulleri, nipoti di Giacomo Bulleri (www.giacomopasticceria.com ). Ma la parola d’ordine per la Pasqua 2016 è personalizzare. Si può fare da Vanilla Bakery (www.vanilla-bakery.com ),dove la colomba con pasta di zucchero e miniature può essere decorata a piacere. «La più richiesta è la colomba con i personaggi di Star Wars», dice la patronne Cristina Bernascone. L’idea più innovativa abbandona la colomba per un dolcetto su misura. Da Grammo, per esempio, fanno biscotti artigianali con decorazioni pasquali, fotografie, disegni. Ideatori Marta Sangalli e Paolo Cappelletti (www.grammomilano.com , 8 biscotti 28 euro). La base è di pasta frolla e in superficie c’è la foto del gatto o il logo preferito, la squadra del cuore oppure un semplice «Buona Pasqua».

Tutti a tavola, il brunch è servito Vegano, con animazione per i bambini, a 5 stelle: variazioni intorno a un rito

Prendiamo dall’inglese sempre più parole, ma non esiste una traduzione italiana di brunch, contrazione di breakfast e lunch, servito di norma a buffet, tra le 11 e le 15 in un mix di dolce e salato. E piace sempre più ai milanesi. Molti locali lo usano per riciclare gli avanzi della settimana, ma per fortuna esistono eccezioni. Tra le tante offerte, l’idea di Giulia Borioli — una dei soci del Superstudio Cafè — mancava: un nuovo modo di trascorrere la domenica in famiglia. «Non è mai facile mettere insieme grandi e bambini. Avendo nipotini ho architettato un modo per rendere felici entrambi: i piccoli mangiano, gli adulti li aiutano. Poi le animatrici “rapiscono” i piccoli e li portano in uno spazio protetto, dove li impegnano in divertenti laboratori pratici. I genitori mangiano in pace e attendono il ritorno dei cuccioli, contenti, con i loro manufatti». I laboratori, indicati dai 4 anni, consistono nel fare biscotti a forma di animali, dipingere maschere di cartapesta o disegnare. I più piccoli hanno un angolo dedicato di cuscini e giochi morbidi. Prossime date: 20 marzo – 3 aprile. Costi 22 euro adulti, 12 i bambini (laboratorio incluso). Meglio prenotare (02.8339.6237). Sempre al Superstudio Cafè (via Forcella 13) si organizzano brunch veganissimi frequentati dai più integralisti. Per un brunch sontuoso, puntate su grandi alberghi, come il Park Hyatt o Il Mandarin Oriental. Il Four Seasons sfoggia piatti tutti nuovi, da quando è arrivato Vito Mollica a rivoluzionare la cucina, e una chocolate room vestita a primavera ispirata a Ratatuille (80 euro, 40 per i bambini, vini esclusi, tel. 02.77.08.14.35). Al Magna Pars, hotel in via Tortona, il brunch a la carta si svolgerà sempre di sabato a partire dalla festa dei papà, il 19 marzo. Anche Peck, in via Spadari, si unisce alla moda del brunch con il cuoco Matteo Vigotti e il pastry chef Alessandro Diglio (dalle 12 alle 16; 60 euro vini esclusi, 30 i bambini, tel. 02.80.23.16.44). Novità anche allo Chateau Monfort di piazza Risorginento. Al Ristorante Rubacuori by Venissa è arrivato il giovane e promettente Andrea Asoli. Il brunch di oggi è dedicato al tema «Vacanze romane», la prossima domenica si celebra «Bentornata primavera», con un profluvio di fiori eduli, verdure fresche ed erbe aromatiche (40 euro senza vini). Prezzi più contenuti da God Save The Food (via Tortona 34, tel. 02.83.73.604, da 25 euro). Da Frida (via Pollaiuolo 3, tel. 02.68.02.60) si mangia tra gli hipster immersi nella luce; da Juleps (via Torricelli 21, tel. 02.89.40.90.29) l’ atmosfera è newyorkese mentre da Cocotte (via Cellini 1, tel. 02.55.18.95.09, 15 euro ) il clima è parigino e si mangia in pentole in ghisa monoporzione.

Male pizza e carne, bene il sushi Delivery, un lusso con poco gusto. Prezzi alti e tempi (lunghi) certi. La consegna dei pasti è un settore in crescita

Una serata di pioggia per mettere alla prova il cosiddetto delivery food, la consegna del cibo a domicilio, in città. Sono passati 50 minuti dall’ordine: i vari siti parlano chiaro, da 30 a 60 minuti per la consegna. Prima, se avevi fame e non ti andava di uscire, l’alternativa era ordinare la pizza nei dintorni. Ora c’è il delivery, business che funziona se si pensa che il primo, Justeat.it, colosso danese, raggruppa più di 40 mila ristoranti nel mondo ed è quotato in Borsa. Cominciamo da questo.

La scelta

Digitando l’indirizzo del sito dedicato si riceve la richiesta di scaricare l’applicazione, poi inserire l’indirizzo dove far arrivare l’ordine. Compaiono 227 ristoranti aderenti, nel raggio di pochi chilometri. Dall’africano al greco, dai fritti al salutare. Ordine minimo 20 euro. Il sovrapprezzo per la consegna varia da 2 a 7 euro, ma alcuni (pochi) lo fanno gratis, ordine minimo 30 euro. Decidiamo di pagare con carta di credito, ma viene chiesto il security code che però non si trova. Ricominciamo da capo, scegliendo di pagare in contanti. Optiamo per le categorie più richieste: hamburger, pizza, sushi e cinese. Scegliamo Vintage Bakery, locale di ispirazione americana in via Thaon di Revel che ha fama di usare carne di buona qualità. Clicchiamo su Cheesy Burger con bacon: piatto ben spiegato, 180 grammi di carne di bovino adulto piemontese, formaggio cheddar, bacon croccante, cipolle di Tropea, pomodoro, lattuga, patatine speziate di contorno (comprese nel prezzo). Intanto che aspettiamo facciamo partire un altro ordine scegliendo Bon Wei, ottimo ristorante di alta cucina cinese. Il costo di consegna, ordine minimo di 20 euro, è alto: 7 euro. Il campanello si fa strada tra gli scrosci di pioggia: ore 21.45. Scendiamo, nella compilazione dell’ordine non abbiamo scritto bene piano e cognome. Il ragazzo smonta dal motorino brandizzato, tira fuori un sacchetto da una scatola termica. Lui è fradicio, il pacco intatto. Gli lasciamo la mancia. Il cibo è ancora tiepido, nonostante la pioggia. Le patate speziate al forno sono molto sapide, morbide dentro e ancora croccanti fuori. I due strati di pane sono troppo asciutti, e spessi: l’equilibrio tra carne e pane è sbilanciato. L’hamburger al primo morso è appetitoso, nonostante il pane sbagliato, ma la carne, raffreddandosi, diventa stopposa e grigia. Non riusciamo a finirla e la lasciamo nella sua confezione. La spesa è di 22 euro.

La confezione

Intanto, mancano 14 minuti allo scadere dell’ora per la consegna del nostro cibo cinese. Ecco il campanello, in anticipo. Pacchetto Bon Wei composto da: riso saltato piccante, 2 involtini di verdura, 6 ravioli di gamberi: totale 29,50 euro. Piuttosto caro. Prima di ogni consegna arriva un messaggio che ci rassicura: tranquilli, stiamo preparando il tuo cibo. Poi chiedono se nel frattempo rispondiamo a un questionario per migliorare il servizio. Il cibo cinese è ancora caldo, gli involtini croccanti e leggeri nonostante la frittura, i ravioli al vapore dal ripieno delicato ma preciso sanno di gamberi. Buon livello su tutta la linea. Terzo esperimento con Foodora.it, stessa procedura dei concorrenti. Scegliamo il ristorante Thisisnotesushibar.com e ordiniamo un menu «Maxi sushi e sushimi». Ordine rischioso. Il pesce sarà stato abbattuto a meno 30 gradi per scongiurare il pericolo Anisaki? Un sms ci informa che un piatto non è disponibile, propongono un’alternativa. Accettiamo. Dopo 30 minuti niente. Fuori continua a diluviare. Riceviamo una telefonata: «Pensavamo avesse rinunciato all’ordine, abbiamo ricominciato da capo». Ok, aspettiamo. Alle 23.15 arriva il pacchetto. Paghiamo in contanti. Con sorpresa, tutto è fresco, profumato, le fettine di pesce ancora piacevolmente umide. Questo cibo nasce freddo, non soffre il trasporto e infatti è tra i più ordinati.

Il codice

Non siamo ancora soddisfatti, vogliamo anche una pizza. Partiamo da Bacchetteforchette.it e scegliamo quella che si chiama A’Pazziella, ottima pizzeria. Stavolta chiedono il bf code, un codice che rilascia Bacchetteforchette.it: ordiniamo una loro specialità, via di mezzo tra pizza e calzone. L’ordine arriva in 40 minuti, ma la pizza è immangiabile. Non perché non sia di qualità, la lievitazione si intuisce corretta, ma il cornicione è molliccio. La mozzarella, ottima, è finita tutta al centro, lasciando il resto scondito. La pizza a domicilio è un castigo per ogni gourmet. Conclusione: il delivery è una magia propria delle grandi città, benvenuto. Un servizio che costa e andrebbe usato con sapienza nella scelta dei piatti. Voti? Pizza collosissima, sushi più che discreto, cinese ottimo (ma un po’ caro), hamburger con carne di qualità e pane immangiabile. Il cibo nato per essere consumato caldo perde il 30 per cento di appetibilità. Il packaging è curato. Costo adeguato al servizio. Ma per usufruirne devi essere pratico della rete, sapere che aspetterai un’ora circa, avere un security code per carta di credito. E non essere un severo gourmet. Il lusso è avere cibo fresco cucinato solo per te, davanti ai tuoi occhi. Il delivery, invece, è l’opposto.

Una città di cioccolato. Festival Al via domani il «Salon du chocolat» dedicato al «cibo degli dei»

«Non c’è così tanta metafisica sulla terra come in un cioccolatino», scriveva il poeta Fernando Pessoa. Ed è solo uno dei tanti deferenti inchini verso il cioccolato, conosciuto come «cibo degli dei». Che vanta un campionato del mondo, film e gadget dedicati, folte schiere di «addict». E l’itinerante Salon du Chocolat, che dopo l’edizione di Parigi, arriva per la prima volta in Italia, al The Mall, da domani a lunedì 15 febbraio. Con il deprezzamento del petrolio, l’«oro nero» è ormai il cioccolato: il mercato nazionale da solo vale 3 miliardi di dollari e ogni italiano ne consuma 400 grammi all’anno (metà rispetto agli altri europei: ma ci stiamo allineando). La formula del Salon, che in 22 anni di storia ha conquistato 165 milioni di visitatori, è simile ad altre: degustazioni, dibattiti, pasticceri che si esibiscono, appuntamenti per bambini. Ma qui il protagonista è solo il cioccolato. Per esempio, «Il talento del cacao: un percorso sul Criollo». Per scoprire il valore, e riconoscerne la qualità, del cacao più raro e pregiato. Sarà Gianluca Franzoni, fondatore e presidente di Domori, a guidarci: dalla tostatura in diretta delle fave di Chuau, all’assaggio delle stesse, prima crude poi tostate; fino alla degustazione del raro Guasare e dell’essenza del cioccolato 100 per cento Criollo. Davide Comaschi, pastry chef campione del mondo di cioccolateria e testimonial del Salon du Chocolat Milano, ha creato un dolce ispirato a San Valentino. Nome: «Cuore Mio», a forma di cuore, composto da pan di Spagna e mousse alla fragola e cioccolato bianco, ricoperto di glassa alla fragola. Assieme a Comaschi, tanti chef e pasticceri, che spesso rivestono entrambi i ruoli: come Andrea Besuschio, Paolo Griffa, Vianney Bellanger, Philippe Bell, Andrea Provenzani e Lorenzo Lavezzari (prepareranno sorprendenti ricette salate), Diego Crosara e i maestri veterani Iginio Massari e Gino Fabbri. Verrà addirittura preparata, davanti allo sguardo attento del pubblico, la celebre Torta Pistocchi di Firenze (ora anche a Milano) che in tempi non sospetti era già senza glutine e che ora si moltiplica in tante varianti. Gran parte del The Mall sarà dedicata ovviamente all’acquisto di cioccolato, sia nazionale che proveniente da tutto il mondo. Superfluo ricordare le associazioni mentali tra passione e oro nero, ma i visitatori saranno accolti da un Cupido di cioccolato alto tre metri. E visto che siamo nella capitale della moda, in apertura di salone sfileranno abiti di cioccolato disegnati da dieci giovani stilisti della Naba in collaborazione con dieci maestri pasticceri. Fashion da guardare e degustare.

Serata futurista all’Hotel Gallia

Sul Palco

Se Marinetti tornasse nelle strade di Milano, dove nel 1909 scrisse il Manifesto del Futurismo, oltre a trovare in linea con la sua visione artistica i grattacieli di Porta Nuova, sarebbe felice di fare una capatina all’Excelsior Gallia. Lì, nella Cupola all’ultimo piano dell’hotel di piazza Duca d’Aosta, domani Massimiliano Finazzer Flory darà vita, dalle 19.30, a una «Serata futurista» (ingresso libero con prenotazione obbligatoria, tel. 02.67853514). Seguirà l’aperitivo, con un cocktail di Miscelazione Futurista, a 18 euro. La serata inaugura una stagione di spettacoli e incontri che renderà ancora più frizzante l’atmosfera dell’hotel. Per Finazzer «i futuristi sono stati la più vera, se non l’unica, avanguardia del ‘900», sostiene l’ex assessore alla Cultura. «Non si possono ridurre alla marginalità: era un movimento europeo, senza il quale non ci sarebbe stato neanche Majakovski». Finazzer non svela nei dettagli i testi che utilizzerà: a Marinetti, che voleva «uccidere il chiaro di luna» nelle poesie dei passatisti si aggiungeranno pagine di Giovanni Papini, futurista degli inizi oggi quasi dimenticato. Prima della pièce, momenti di danza contemporanea con Michela Lucenti su musiche di Stravinsky e Sakamoto. «Presenterò anche il film “Marinetti a New York”, che arriverà all’Arcobaleno il 28 gennaio», conclude Finazzer.

Menu speciale per il cenone

Auguri a tavola Dal caviale con patate alla tradizione milanese fino alla serata in stile hippy

L’universo milanese dei «capodannisti» si divide in scuole di pensiero: chi scuote la testa e sostiene che è un giorno come un altro; chi sceglie un ristorante sino al brindisi; chi disdegna il cenone e come a New York cambierà almeno 5 locali in una notte. Ci sono i puristi del bon ton, che inorridiscono all’idea di trenini e cotillon, e altri che non vedono l’ora di buttarsi nel caro vecchio karaoke. Milano dà una chance a tutti. Il Bar Magenta di San Silvestro ne ha visti 108. Chi vuole può aspettare la mezzanotte qui, prenotando il cenone: 50 euro con musica e brindisi. Primo Capodanno, invece, per il Seta del Mandarin Oriental, fresco di stella Michelin. Antonio Guida propone otto portate, come caviale con patate allo scalogno o risotto al tartufo con fagiano (450 euro vini inclusi). Al Mandarin Bar piatti ispirati alla tradizione milanese (120 euro, vini esclusi). A mezzanotte, magia: lo chef brinda con gli ospiti offrendo panettone e Champagne. Primo Capodanno anche all’Excelsior Hotel Gallia con il cenone a 280 euro (vini esclusi) e balli in sala Cupola con il dj resident. Ma si può scoprire la bellezza dell’hotel da poco splendidamente rinato anche al brunch del 1° gennaio, a 70 euro, vini esclusi. Chi ama i sapori orientali, faccia tappa al Bon Wei. Lo chef Guoqing Zhang, oltre alla carta abituale ha pensato anche a piatti speciali: astice con crema al tè verde o petto d’anatra con salsa ai fagioli gialli. Per chi vuole solo un piatto, l’ideale è Dim Sum: qui lo chef Wu Jing ha studiato nuove proposte, come il raviolo con edamamer e crema di tartufo o lo Shao Mai leggermente piccante. Da Wicky Pryan, che aspetta la stella ampiamente meritata, tradizione giapponese con ingredienti italiani. Nel menu (100 euro vini esclusi) il Carpaccio dei 5 continenti, il Kaneki Kyoto (maialino lessato) e al brindisi panettone Besuschio con zabaione. L’atmosfera di uno dei locali più frizzanti di Milano, Langosteria 10, si trasferisce per San Silvestro alla Langosteria Bistrot. Risotto con scampi e caviale Beluga, aragosta, capesante, ostriche (150 euro vini esclusi). Sorpresa del patron Enrico Buonocore: con cotechino e lenticchie, un calice di Ruinart Rosè offerto dalla maison. Da Tom, invece, atmosfera flower power. All’entrata, vi verrà messa al collo una collana di fiori: si può andare vestiti da hippie. Tre menu a 80 euro: carne, pesce, vegetariano. Dopo mezzanotte, la festa continua: 40 euro, con un drink. Al Ceresio 7, esclusiva terrazza con piscina, l’idea è abbinare i piatti a una hit parade scelta dal dj, dallo chef Elio Sironi e da uno dei patron, Edoardo Grassi. Agnolotti al tartufo bianco (Mario Biondi, White Christmas); bollito freddo di crostacei (sulle note dei Coldplay); vitello, lime, vaniglia e cacao (la voce sublime di Cesaria Evora). Costo, 190 euro, vini esclusi. Chi ama i piatti siciliani, può scegliere Curò, dove la tradizione è rispettata: nel menu (120 euro vini esclusi) non mancano caponatina di baccalà e involtini melanzane. Sangria pronta e fuoco acceso all’argentino Don Juan: sotto la regia di Marlene Gomes arrivano empanadas, picanha, lomo e entranas. Nei bicchieri Malbec Fin del Mundo. Menu a 120 euro. Eataly chiude alle 18, tranne il ristorante stellato di Viviana Varese, Alice, tra i migliori per il pesce in città. Nel menu a 180 euro (senza vini): super spaghettino con brodo di pesce affumicato, vongole, julienne di calamari e limoni. Alle 24, Champagne Desire Marguerite Guyot. Ma in casa, al ristorante, con gli amici, gli italiani brindano soprattutto italiano. Lo conferma Domenico Zonin, presidente dell’Unione vini: «La produzione di spumanti è cresciuta del 10% e l’export del 13%». Tra le bollicine più amate: i metodo classico Ferrari, Bellavista, Berlucchi, Cà del Bosco e Bisol per il Prosecco.

Quale panettone?

Tradizioni.

Artigianale, vegano, creativo, perfino salato: come scegliere

 

Il panettone sta vivendo la sua età migliore: stimato, rivalutato a ogni fascia della giornata e in mesi lontani dal Natale. Le certezze, per quest’anno, sono quattro: il panettone ha perso la sua milanocentricità (tanto è vero che la kermesse Re Panettone ha premiato un pasticcere della Costiera Amalfitana, Salvatore De Riso); il consumatore comincia a capire la differenza tra l’artigianale e quello per la grande distribuzione (da circa 30 euro al chilo ai 3 del supermercato); il panettone si compra anche al ristorante; salgono le quotazioni dei panettoni salati. Ecco alcuni tra i migliori che abbiamo assaggiato a Milano e dintorni. Vergani, l’unica azienda che ancora produce in città, ha aperto da qualche giorno la seconda bottega-caffetteria per degustarlo, in corso di Porta Romana 51 (con un corner della gelateria Marchetti per offrirlo anche in versione gelata). La novità, a parte il panettone tradizionale (con un lussuoso burro CharentesPoitou), che spicca per bontà e autorevolezza, è la versione vegana con olio extravergine d’oliva e bacche di vaniglia Bourbon del Madagascar. Sulla scia dei «naturali», i panettoni Evvivo (da Eat’s Excelsior) all’olio, senza lattosio, oppure al burro fresco di cascina o più creativo ai mirtilli rossi e bacche di goji. La variante dell’oste-cuoco Filippo La Mantia, in vendita nel suo ristorante in piazza Risorgimento, racchiude il Mediterraneo, con cous cous al cacao amaro, glassa all’arancia, uva zibibbo al passito di Pantelleria e frutta candita (30 euro al kg). Claudio Sadler, dall’alto delle due stelle Michelin, li acquista da un rivenditore di alta gamma di Riccione; oltre al classico, ha scelto una variante alla vodka Wood e gocce di cioccolato (28 euro). Il siciliano Emanuele Vitrano, proprietario dell’hotel Carlyle Brera, ha scelto un panettone creato dal pasticcere più famoso di Sicilia, Nicola Fiasconaro. Che ha riscoperto la manna, linfa dolce estratta dal frassino (28 euro kg).