La cotoletta doc nella trattoria di Matteo Scibilia. la mia recensione sul corriere

A Tavola

Il 17 sarà la giornata mondiale della costoletta alla milanese, occasione ghiotta per provarla in versione doc all’Osteria della Buona Condotta di Ornago (via Cavenago 2, tel.039.69.19.056). Matteo Scibilia con la moglie conduce la blasonata trattoria da qualche decennio. La vera costoletta è ricavata dalla lombata del vitello (non maiale) e si presenta con l’osso, alta un paio di centimetri, rosa l’interno, cotta nel burro chiarificato e salata solo alla fine. La versione di Scibilia prevede panatura a base di grissini. Da provare il risotto giallo con panettone tostato, i ravioli e il coniglio al caffè. 45 euro.

Dellonti: «Voglio un teatro aperto tutto l’anno»

La stagione di prosa 2016 del Teatro Tiberini di San Lorenzo in Campo firmata amministrazione comunale e Amat, che decollerà il 20 gennaio con l’anticommedia di Eugène Ionesco dal titolo ‘Delirio a due’, sarà arricchita da una serie di appuntamenti organizzati direttamente dal sindaco Davide Dellonti e dalla sua squadra di ‘governo’. «Il primo – spiega proprio Dellonti – è in programma per sabato 23 gennaio, quando l’associazione ‘La Vera Febbre’ metterà in scena il suo lavoro di prosa sociale ‘Spesso ad una pasta..’. Il giorno seguente, alle 16,30, nell’ambito della Giornata Nazionale del Dialetto, proporremo in sinergia con la Pro Loco uno spettacolo della compagnia dialettale di San Lorenzo in Campo ‘L’Aquilone’. Domenica 21 febbraio alle 17, poi, toneranno al Tiberini i comici del ‘San Costanzo Show’ con la loro nuova ed esilarante opera ‘La Parrucchiera di Siviglia’. Il 27 febbraio alle 21, infine, seconda esibizione di prosa sociale de ‘La Vera Febbre’ intitolata ‘Astro morente’». «E non finisce qui – aggiunge il primo cittadino -, perché il nostro obiettivo è quello di un teatro aperto tutto l’anno che diventi sempre di più un contenitore di straordinaria vivacità per iniziative variegate che abbraccino il mondo della cultura a tutto tondo. Nel 2015 siamo riusciti a centrare il risultato proponendo anche molti ospiti prestigiosi come il regista Marco Risi, lo sceneggiatore Riccardo De Torrebruna, la scrittrice Roberta Schira e il pianista Sandro Ivo Bartoli, senza dimenticare il premio lirico internazionale ‘Mario Tiberini’ organizzato dall’omonima associazione, e in questo 2016 vogliamo fare ancora meglio».

Serata futurista all’Hotel Gallia

Sul Palco

Se Marinetti tornasse nelle strade di Milano, dove nel 1909 scrisse il Manifesto del Futurismo, oltre a trovare in linea con la sua visione artistica i grattacieli di Porta Nuova, sarebbe felice di fare una capatina all’Excelsior Gallia. Lì, nella Cupola all’ultimo piano dell’hotel di piazza Duca d’Aosta, domani Massimiliano Finazzer Flory darà vita, dalle 19.30, a una «Serata futurista» (ingresso libero con prenotazione obbligatoria, tel. 02.67853514). Seguirà l’aperitivo, con un cocktail di Miscelazione Futurista, a 18 euro. La serata inaugura una stagione di spettacoli e incontri che renderà ancora più frizzante l’atmosfera dell’hotel. Per Finazzer «i futuristi sono stati la più vera, se non l’unica, avanguardia del ‘900», sostiene l’ex assessore alla Cultura. «Non si possono ridurre alla marginalità: era un movimento europeo, senza il quale non ci sarebbe stato neanche Majakovski». Finazzer non svela nei dettagli i testi che utilizzerà: a Marinetti, che voleva «uccidere il chiaro di luna» nelle poesie dei passatisti si aggiungeranno pagine di Giovanni Papini, futurista degli inizi oggi quasi dimenticato. Prima della pièce, momenti di danza contemporanea con Michela Lucenti su musiche di Stravinsky e Sakamoto. «Presenterò anche il film “Marinetti a New York”, che arriverà all’Arcobaleno il 28 gennaio», conclude Finazzer.

Il Pomiroeu di Seregno Tappa obbligata per ogni gourmet. la mia recensione sul corriere

A Tavola

Poco distante da Milano, il cuoco Giancarlo Morelli continua a imperare sulla Brianza: tecniche di cucina in primo piano e una devozione trentennale nel cercare l’essenza dei sapori. È il Pomiroeu (via Garibaldi 37, tel. 0362.23.79.73, Seregno): dove oggi sorge una corte, un tempo fioriva un pometo. Lo staff d’eccezione, una cantina (ex ghiacciaia) olimpionica e la filosofia dello chef rendono la tappa in questo locale un dovere di ogni gourmet. Temolo marinato ai profumi di bosco, casoncello ripieno di ricotta acida, fichi secchi, costoletta di cervo o il pescato del giorno. Da 60 euro.

Pesce fresco (e a buon mercato) anche da asporto. La mia recensione sul corriere

A Tavola

Uno dei ristoranti di successo del gruppo Seven (dietro c’è la mente brillante di Andrea Meoni) è Zio Pesce (foto) in Porta Romana (via Mattei 12, tel. 02.49794967), il locale gemello è sui Navigli. Rappresenta l’eccezione alla regola: i ristoranti dove si serve il pesce fresco sono cari. Meoni, dovendo rifornire più locali, riesce a procurarsi il meglio di gamberi, salmoni, pesce spada, tonni e ombrine a prezzi competitivi. Niente stellati, ma la cucina è più che corretta. A partire da 40 euro. La cantina è attenta a biodinamica e vini naturali. Tutti i piatti sono anche da asporto.

Carne della Galizia e altri tagli pregiati alla Griglia di Varrone. La mia recensione sul corriere

A Tavola

Entrana, fassona, wagju, pluma di pata negra: a La Griglia di Varrone (via Tocqueville 7, tel. 02.36798388) ogni taglio di carne pregiata ha ospitalità nella carta creata dal patron Massimo Minutelli, il re dei gourmet carnivori a Milano (possiede un locale anche a Lucca). Da poco un’altra razza incomparabile è inserita nel menu: la carne della Galizia. Dice Minutelli: «Gusto unico, frollatura 60 giorni, tenerezza, carne rosso tenue e grasso color paglierino, perché i capi sono alimentati con mais». Se carne dev’essere, che sia la migliore, come qui. Costo 50 euro, vini inclusi.

Toscana signorilità

Tra i commensali più interessanti conosciuti in queste settimane c’è un gentiluomo di buone maniere, di ottima conversazione, dotato di un guizzo seducente negli occhi verdi da ragazzo, verde Maremma. È lì che produce uno dei più blasonati e grandi rossi del Pianeta come il Lupicaia: il cavalier Gian Annibale Rossi di Medelana, titolare del Castello del Terriccio; cenare con lui è stato un privilegio. La sua conversazione è brillante e scandaglia in profondità temi storici, letteratura, enologia (of course), arte, storie vissute (come i tre mesi passati in gioventù lavorando in una miniera australiana) e storie equine. Assaggiare assieme a lui, nella sala della Veranda al Four Seasons di Milano un sorso di Lupicaia 2009 alternato a un boccone di capriolo dello chef Marco Veneruso (alteego di Vito Mollica) è beatitudine. Quanto è raro che un produttore non vi sfianchi parlandovi tutta la cena delle proprie etichette. Questo è savoir vivre. Una questione di signorilità. Allora della sua azienda  parliamo noi: 1.700 ettari nella Maremma settentrionale (in provincia di Pisa) baciati dalla brezza marina, coltivazioni di cereali, le vacche limousine, i cavalli con dieci fattrici pluripremiate di sella italiano, 12mila piante di ulivi delle più varie cultivar. E per ultimi, ma solo per snobismo, i vigneti. Tassinaia, Con Vento, Rondinaia, Capannino e Castello del Terriccio. A mano a mano che le vendemmie si succedono i proprietari delle vigne assomigliano al loro vino. Il cavaliere è il Lupicaia: 2009 cabernet sauvignon 85%, merlot 10%, petit verdot 5%. Grande incontro. E di soddisfazione, soprattutto dopo aver riconosciuto un tocco mentolato che il cavaliere conferma provenire da alberi di eucalipto adiacenti alla vigna.

Menu speciale per il cenone

Auguri a tavola Dal caviale con patate alla tradizione milanese fino alla serata in stile hippy

L’universo milanese dei «capodannisti» si divide in scuole di pensiero: chi scuote la testa e sostiene che è un giorno come un altro; chi sceglie un ristorante sino al brindisi; chi disdegna il cenone e come a New York cambierà almeno 5 locali in una notte. Ci sono i puristi del bon ton, che inorridiscono all’idea di trenini e cotillon, e altri che non vedono l’ora di buttarsi nel caro vecchio karaoke. Milano dà una chance a tutti. Il Bar Magenta di San Silvestro ne ha visti 108. Chi vuole può aspettare la mezzanotte qui, prenotando il cenone: 50 euro con musica e brindisi. Primo Capodanno, invece, per il Seta del Mandarin Oriental, fresco di stella Michelin. Antonio Guida propone otto portate, come caviale con patate allo scalogno o risotto al tartufo con fagiano (450 euro vini inclusi). Al Mandarin Bar piatti ispirati alla tradizione milanese (120 euro, vini esclusi). A mezzanotte, magia: lo chef brinda con gli ospiti offrendo panettone e Champagne. Primo Capodanno anche all’Excelsior Hotel Gallia con il cenone a 280 euro (vini esclusi) e balli in sala Cupola con il dj resident. Ma si può scoprire la bellezza dell’hotel da poco splendidamente rinato anche al brunch del 1° gennaio, a 70 euro, vini esclusi. Chi ama i sapori orientali, faccia tappa al Bon Wei. Lo chef Guoqing Zhang, oltre alla carta abituale ha pensato anche a piatti speciali: astice con crema al tè verde o petto d’anatra con salsa ai fagioli gialli. Per chi vuole solo un piatto, l’ideale è Dim Sum: qui lo chef Wu Jing ha studiato nuove proposte, come il raviolo con edamamer e crema di tartufo o lo Shao Mai leggermente piccante. Da Wicky Pryan, che aspetta la stella ampiamente meritata, tradizione giapponese con ingredienti italiani. Nel menu (100 euro vini esclusi) il Carpaccio dei 5 continenti, il Kaneki Kyoto (maialino lessato) e al brindisi panettone Besuschio con zabaione. L’atmosfera di uno dei locali più frizzanti di Milano, Langosteria 10, si trasferisce per San Silvestro alla Langosteria Bistrot. Risotto con scampi e caviale Beluga, aragosta, capesante, ostriche (150 euro vini esclusi). Sorpresa del patron Enrico Buonocore: con cotechino e lenticchie, un calice di Ruinart Rosè offerto dalla maison. Da Tom, invece, atmosfera flower power. All’entrata, vi verrà messa al collo una collana di fiori: si può andare vestiti da hippie. Tre menu a 80 euro: carne, pesce, vegetariano. Dopo mezzanotte, la festa continua: 40 euro, con un drink. Al Ceresio 7, esclusiva terrazza con piscina, l’idea è abbinare i piatti a una hit parade scelta dal dj, dallo chef Elio Sironi e da uno dei patron, Edoardo Grassi. Agnolotti al tartufo bianco (Mario Biondi, White Christmas); bollito freddo di crostacei (sulle note dei Coldplay); vitello, lime, vaniglia e cacao (la voce sublime di Cesaria Evora). Costo, 190 euro, vini esclusi. Chi ama i piatti siciliani, può scegliere Curò, dove la tradizione è rispettata: nel menu (120 euro vini esclusi) non mancano caponatina di baccalà e involtini melanzane. Sangria pronta e fuoco acceso all’argentino Don Juan: sotto la regia di Marlene Gomes arrivano empanadas, picanha, lomo e entranas. Nei bicchieri Malbec Fin del Mundo. Menu a 120 euro. Eataly chiude alle 18, tranne il ristorante stellato di Viviana Varese, Alice, tra i migliori per il pesce in città. Nel menu a 180 euro (senza vini): super spaghettino con brodo di pesce affumicato, vongole, julienne di calamari e limoni. Alle 24, Champagne Desire Marguerite Guyot. Ma in casa, al ristorante, con gli amici, gli italiani brindano soprattutto italiano. Lo conferma Domenico Zonin, presidente dell’Unione vini: «La produzione di spumanti è cresciuta del 10% e l’export del 13%». Tra le bollicine più amate: i metodo classico Ferrari, Bellavista, Berlucchi, Cà del Bosco e Bisol per il Prosecco.

Il magnifico palagio

Due palazzi rinascimentali, il parco privato più grande della città, 116 tra camere e suite punteggiate di opere d’arte, un ristorante (Il Palagio, una stella Michelin, per ora) dove regna lo chef Vito Mollica (responsabile della cucina anche in via del Gesù, a Milano), il sommelier Walter Meccia che trasmette l’amore per i vini (da un Romanée-Conti 1995 da 18mila euro ai più abbordabili Aglianico o Nebbiolo). Su tutto, la regia cordiale e intelligente del toscano Patrizio Cipollini, direttore d’albergo di quelli che si vedono solo nei film, e invece, per fortuna del viaggiatore, esistono davvero. Stiamo parlando del Four Seasons di Firenze, che con l’hotel di Milano (il primo del brand aperto in Europa) porta in alto il nome della casa. A Firenze, “città piccola e tranquilla, però cosmopolita” (opinione dello chef, qui dal 2008, dopo Milano e Praga) e a poca distanza dagli Uffizi, l’hotel di Cipollini è un trattato della buona accoglienza, non soltanto per ospiti con camera o suite. Gli alberghi a cinque stelle sono luoghi di vita intensa, incontri, cene e aperitivi d’alto livello, spa sempre all’avanguardia. Sono macchine emozionali aperte a tutti che funzionano 24 ore su 24. In Italia, questa filosofia comincia a farsi strada. Godersi il ritmo al Four Seasons di Firenze, sotto gli eleganti addobbi natalizi, fa ben sperare sul futuro sempre più brillante di questi regni del lusso. Impossibile entrare anche solo per un caffè o un gin tonic senza respirare l’aria storica delle mura, che hanno visto Lorenzo il Magnifico, papi e nobili fiorentini, persino un pascià egiziano che vendette la dimora quando gli venne proibito di portare l’harem. Il Palazzo della Gherardesca (XV secolo) e il Conventino (XVI secolo) ospitano genius loci che invitano a riflettere sul mutare dei tempi: dove venivano celebrati riti e intrighi aristocratici, oggi è un via vai di turisti internazionali, uomini d’affari, curiosi delle bellezze d’Italia, innamorati di un grand tour affascinante sin dai tempi di Goethe. Il Four Seasons ha aperto nel 2008 e da allora è stato un continuo mettere a punto l’arte dell’accoglienza che – dateci pure di entusiasti eccessivi – è da considerare perfetta. Abbiamo accennato alle opere d’arte, che fanno dell’hotel un museo aperto, tra affreschi e dipinti vaganti dal Rinascimento al Rococò e all’Ottocento. Abbiamo detto del parco: quattro ettari e mezzo di prati, boschetti, piante rare, alberi secolari (tra cui una sequoia). Tra i punti di forza, la cucina di Vito Mollica conferma il talento di uno chef che governa con il sorriso un ristorante di 110 posti, di cui 55 all’aperto. “Il mio ingrediente migliore è la brigata”, dice Mollica, che sa fare squadra con i suoi. Piatto iconico: i cavatelli cacio e pepe con gamberi rossi e calamaretti spillo. Ma dalla carta, che cambia ogni stagione, occhieggiano il porro arrostito con crema di zucca, tartufo bianco di San Miniato e fonduta di fontina, o l’insalata di astice con trasparenza di sedano verde, per citare piatti dalle proposte attuali. Mollica ama conoscere l’uomo dietro il prodotto: la scelta di un ingrediente, che sia il tartufo bianco o l’agnello, la capasanta o l’olio di Toscana, passa prima dalla storia umana e professionale. E che dire del pasticcere Domenico Di Clemente? È uno dei pochi che osa portare in tavola un soufflé, banco di prova di ogni pastry chef. Vera perla è la cantina, con oltre mille etichette. Meccia l’ha voluta arricchire con molte bottiglie di rari vitigni autoctoni, da proporre assieme ai classici, anche a bicchiere. “Gli italiani”, dichiara il sommelier, “sono curiosi dei vini di regioni lontane da dove vivono. Oppure ordinano un vino della loro zona, purché sconosciuto. Gli stranieri? Non v’è dubbio, scelgono prima di tutto i toscani”.

Al Besame Mucho alta cucina messicana e ambiente moderno. La mia recensione sul corriere

A Tavola

Se rimpiangete tacos ed enchiladas del padiglione Messico in Expo, eccovi accontentati: l’imprenditore ed editore italo-messicano Sandro Landucci prosegue l’avventura con Besame Mucho (piazza Alvar Aalto, tel. 02.29060313). Inaugura ufficialmente a gennaio, ma è già un successo: sorrisi autentici, materie prime di qualità, cuochi blasonati, architettura contemporanea. Dimenticate poltiglie tex-mex piccantissime: qui si fa alta cucina messicana. Da provare aguachile di gamberi e pescato del giorno, habanero, cetriolo e rapanelli e molto altro. Cantina in divenire, 40 euro circa.